Nei Balcani ci sono almeno 20 cellule della Jihad attive nel reclutamento e nell’addestramento dei cosiddetti foreign fighters. Esse, secondo l’intelligence italiana, rappresentano un “incubatore” della minaccia terroristica contro l’Europa. L’allarme, come riportato da Il Tempo, non è recente. È stato lanciato due anni fa, ma il numero dovrebbe essere rimasto invariato. Il timore che i membri possano essere aumentati tuttavia è rilevante.



Al momento delle rilevazioni c’erano oltre 1.000 combattenti che, durante la guerra in Siria, erano partiti da quella zona per arruolarsi tra le fila dello Stato islamico. Il problema è che poco meno della metà di loro sono rientrati. Ora sono “possibili vettori di rischio per la sicurezza europea e nazionale, specie in ragione dell’esperienza militare acquisita e dei legami, talora forti, stabiliti con la diaspora in Europa”, scrivono gli 007 del nostro Paese. L’area di riferimento è quella che include Kovoso, Bosnia, Albania, Macedonia, Serbia e Montenegro.



Jihad, 20 cellule attive nei Balcani: l’allarme lanciato dall’intelligence

Le 20 cellule della Jihad attive nei Balcani sarebbero, nel dettaglio, dei gruppi di matrici salafita e wahhabita per quel che concerne Kosovo, Albania e Bosnia. Ma non solo. D’altronde, per l’intelligence italiana che ha lanciato l’allarme, “i tratti salienti del fenomeno sono determinati da network transnazionali e interetnici, spesso con connessioni europee, tra cui si segnala quello dei cosiddetti ‘Leini dei Balcani’, che rappresenta un elemento di strategia dell’Isis volto a rafforzare articolazioni periferiche per il rilancio di attività offensive”.



Il rischio che queste persone possano infiltrarsi in Europa dunque è alto. Soltanto nello scorso anno le rotte balcaniche sono state attraversate infatti da quasi 150 mila migranti. Da gennaio ad agosto ne sono arrivati 52.000. Le loro etnie sono variegate: dai pakistani ai nepalesi. “Tale eterogeneità corrisponde a una realtà criminale altrettanto varia”, avvertono gli esperti. I singoli Stati ora sono chiamati a rispondere all’allerta.