“L’Isis sul campo è stata sconfitta”, quante volte abbiamo sentito in questi anni questa frase anche su autorevoli approfondimenti geopolitici: ecco, per i veri esperti del settore – e per i testimoni diretti nei luoghi dove il fuoco del fondamentalismo islamista soffia ancora – tale affermazione è tutt’altro che vera. La riprova arriva dalla prima puntata – di una lunga serie – del reportage di “Avvenire” dall’Africa centrale dove, citiamo esplicito «il Califfato non dorme». Mozambico, Somalia, Congo, Etiopia, e poi ancora Sudan, Ciad, Niger, Nigeria, Mali, Camerun: tutti i Paesi del settore centrale del grande “continente nero” vedono negli ultimi anni una crescita costante e quasi indisturbata del fondamentalismo talvolta di Daesh, talvolta di Al Qaeda, altre volte ancora di piccole ma pericolose tribù locali dedite al fondamentalismo religioso, politico ed economico.
Paolo Alfieri su “Avvenire” lo chiama lo «jihad liquido» che rischia di «annegare l’Africa per sempre», una guerra “santa” giocata su commerci, sfruttamenti, ‘pizzo‘ e controllo sul territorio. Non solo dunque tagliagole e attentati, molto più evidenti ma anche molto più contrastatibili dalla reazione della comunità internazionale: «L’estremismo islamico gioca una partita nuova in Africa, una partita che ha un campo d’azione qui sterminato e che, partendo dalle coste atlantiche della Mauritania, si distende in un arco che arriva ad est fino al Corno d’Africa, per poi dipanarsi verso sud, passando attraverso la Repubblica democratica del Congo fino in Mozambico, al confine con la Tanzania». Le nuove “ombre” del fondamentalismo sfruttano fragilità estreme degli Stati a livello istituzionale e politico, confini tutt’altro che “nitidi” e soprattutto forte «disattenzione del mondo occidentale […] che di quell’estremismo spesso vede solo le conseguenze, in termini di sfollati, migranti, impoverimento generale di un continente che già prima faticava nella corsa verso lo sviluppo».
ECCO DOVE SI ESPANDE IL ‘NUOVO’ JIHAD IN AFRICA
Secondo il lungo reportage di “Avvenire” non esiste più un solo “centro” del fondamentalismo islamista (da Al Qaeda a Daesh), bensì tanti “pezzi” e formazioni armate «che spesso solo per convenienza, si affiliano a gruppi internazionali più noti, ora lo Stato islamico (Daesh), ora al-Qaeda o quel che ne rimane». Diffondo il terrore e il proselitismo in maniera parallela, approfittano di vuoti di potere enormi e portano i giovani dalla “loro parte” in quanto unica vera ‘proposta’ in molti frangenti che la ‘società’ offre loro. La ‘fascia della paura‘ di questo fondamentalismo più nascosto parte dalla cornice del Sahel: 5mila morti (gli ultimi 137 nell’attacco in Niger lo scorso 21 marzo, ndr) e 1,4 milioni di sfollati solo nel 2020 in un mondo troppo “distratto” dal Covid per vedere la catastrofe che solo la Chiesa e il Vaticano costantemente pongono all’attenzione (ignorata) dei media mondiali. Qui in Sahel, racconta l’inchiesta giornalistica, «Milizie che si muovono su base etnica o per aggiudicarsi il controllo della regione in vista di affari sporchi in un territorio devastato da cambiamenti climatici e lotta per le risorse. Vittime di attacchi di matrice terroristica, centinaia di migliaia di famiglie stanno abbandonando le loro case e attività in regioni che gli Stati non controllano».
Si passa poi alla fascia Nigeria-Camerun-Ciad dove dominano i gruppi affiliati a Boko Haram (assieme a Ansaru e Iswap) ormai da un decennio: non solo attacchi ai villaggi però, anche attentati veri e propri, sequestri di massa e simili per autofinanziamento dei traffici illeciti. In Congo lo jihad ‘liquido’ si estende nelle aree dove fanno gola le materie prime: dove prima vecchie formazioni milizie erano dedite allo sfruttamento di tali materie, oggi si imbraccia la guerra santa islamista. Motivo? «Tramortite negli scorsi anni dagli eserciti locali, le Adf sono tornate protagoniste di attacchi sul campo grazie alla loro affiliazione con l’Iscap, la provincia dello Stato islamico nell’Africa centrale, ennesima variabile di una delle aree più instabili nel mondo, quell’Est del Congo in cui operano oltre cento gruppi armati, attirati dalle materie prime». Da ultimo, sia l’area Somalia-Kenya (dove si impone il “pizzo” da parte degli Shabaab verso le popolazioni cresciute sotto la morsa delle tribù più violente) che il Mozambico vedono trionfare il “nuovo” jihad: «Il reclutamento dei gio- vani estremisti è stato favorito dalla condizione di emarginazione economica di una regione in cui il governo statale ha rimosso intere comunità, favo- rendo concessioni a società al- la ricerca di gas, petrolio e minerali preziosi». Traffici, instabilità, ‘miccia’ fondamentalista e indifferenza dell’Occidente. la “bomba africana” rischia davvero di esplodere nel giro di qualche anno senza che nessuno (o quasi) se ne stia occupando seriamente all’Onu…