Jihad islamica: la lunga guerra della Francia in Africa

Da tempo la Francia, secondo un reportage fatto da Rémi Carayol e pubblicato sotto forma di libro, starebbe combattendo una sorta di guerra “segreta” contro la jihad islamica nel nord dell’Africa. Partendo con i migliori auspici, ovvero estirpare un problema concreto che affligge i territori africani, le missioni si sono presto trasformate in un sodalizio con l’esercito africano, che avrebbe ottenuto l’effetto contrario, ovvero alimentare l’immagine pubblica dei terroristi.



Secondo quanto ha potuto appurare l’autore del libro, infatti, la jihad islamica è ben radicata nei territori a nord dell’Africa, tanto da spingere la Francia ad impegnarsi in una guerra che dura da circa 10 anni. L’autore, però, sostiene anche che entrambe le missioni francesi (Serval nel 2013 e Barkhane dal 2014 al 2022) avrebbero permesso, almeno in un primo momento, di respingere e limitare l’influenza della jihad islamica nell’area. Tuttavia, le missioni militari avrebbero anche ottenuto l’effetto di ritardare e rendere pressoché impossibile la ricerca di soluzioni diverse che possano riportare la pace tra i terroristi e i governi del nord Africa. Oltre a questo, però, a causa di alcune scelte compiute dai vertici dell’esercito francese, si sarebbe anche diffuso sempre più un sentimento contro lo stato e contro il potere da parte del popolo.



I problemi delle missioni francesi contro la jihad islamica

Infatti, a quanto riferisce ancora il reportage di Carayol, le missioni francesi contro la jihad islamica nel nord dell’Africa sarebbero state anche sfruttate a fini politici. Con l’ausilio dell’esercito di Parigi, infatti, alcuni dirigenti hanno insabbiato negligenze e scelte sbagliate dell’esercito e della politica africana. Similmente, l’ormai lungo braccio della Francia sui territori africani è sempre più vissuto come una sorta di neo-colonialismo dalla popolazione, che comincia a chiedere la libertà dall’ex potenza coloniale.



Secondo quando è riuscito a scoprire Carayol, nelle prigioni africane, grazie al supporto della Francia, si troverebbero diverse decine di prigionieri accusati di far parte della jihad islamica, ma che in realtà non hanno nulla a che fare con i terroristi. Ne è un esempio Walid (nome di fantasia) che inizialmente collaborò con l’esercito francese, salvo poi tirarsi indietro dopo alcune minacce da parte dei jihadisti, finendo arrestato con l’accusa di terrorismo. L’autore sostiene che i militari francesi, cercando tracce della jihad islamica, entrano nei villaggi armati fino ai denti, lo sgomberano, perquisiscono le case e arrestano parte degli uomini, senza accuse formali.