Laura Sabrina Martucci, docente di diritto ecclesiastico che ha recentemente avviato un corso sul terrorismo e il jihadismo, specialmente nell’ottica della radicalizzazione dei più giovani, ha parlato di questi fenomeni in un’intervista con il quotidiano La Verità. Processi che, a differenza della percezione comune, stanno cominciando ad interessare anche le classi più agiate delle società e non più solamente i marginalizzati e i poveri.



“Da uno studio” sul jihadismo, spiega Martucci, “sto rilevando che, se una parte della minaccia all’Europa segue gli standard degli ultimi anni” e viene soprattutto “da minorenni nati e cresciuti in campi di prigionia come Al Hol in Afghanistan, o nelle regioni Mena”, che includono il Medio Oriente e il Nord Africa, un’altra e “più allarmante” parte della minaccia “viene da giovanissimi europei ‘non vulnerabili’, nuovi potenziali lupi solitari”. Insomma, secondo Martucci, per quanto riguarda la minaccia che arriva dal jihadismo “siamo stati spesso indotti ad associare la radicalizzazione a debolezza psicologica e marginalizzazione”, ma la realtà è ben diversa.



Martucci: “Jihadismo può essere combattuto, ma secondo gli esperti”

Molti dei nuovi proseliti del jihadismo, continua a spiegare Martucci, “sono giovani sempre più colti e consapevoli, viziati e insoddisfatti, desiderosi di canalizzare la rabbia maturata contro un nemico che viene immedesimato in chi disconosce le loro attese”. In questo contesto, “la manipolazione da parte dei cattivi maestri è semplice” perché “basta dare una via al loro disorientamento” che nasce dall’illusione della pace in cui sono cresciuti, “mentre assistono a conflitti che dilaniano il mondo e mettono in crisi il discrimine tra atti di terrorismo e/0 di guerra”.



Tuttavia, seppur il jihadismo diventi sempre più importante e pressante, specialmente tra i giovani europei ricchi, secondo Martucci è ancora possibile la deradicalizzazione, che non va vista come “un processo punitivo o di brainwashing” ma che è anche lungi dall’essere “basata sulla volontarietà dell’adesione”. Su come avvenga il processo vero e proprio di deradicalizzazione, sottolinea che “può comporsi di più fasi con finalità e metodologie diversificate e altamente personalizzate”. Contro il jihadismo servono, secondo Martucci, “operatori altamente qualificati” che non dimentichino che hanno davanti una persona con precisi diritti umani, “che va reindirizzata ai valori del luogo in cui si vive“, rispettando sempre il loro “diritto alla costruzione libera dell’identità religiosa o politica”.