Abdesalem Lassoued, il tunisino di 45 anni ucciso dalla polizia belga dopo che aveva ammazzato due persone a Bruxelles, era sbarcato a Lampedusa nel 2011. E qualche tempo dopo era stato respinto dalla Svezia in Italia come Paese di primo approdo. Forse per questo nella capitale belga ha deciso di prendere di mira due svedesi, giunti in città in occasione di una partita di calcio della loro nazionale. Il suo non è un caso isolato, spiega Mauro Indelicato, giornalista de il Giornale e Inside Over, anzi, ci sono state anche altre vicende relative a migranti che si radicalizzano una volta arrivati in Europa e compiono attentati da lupi solitari, aizzati dalla propaganda antioccidentale di gruppi come l’Isis.



La maggior parte sono tunisini che operano questa scelta come reazione alla loro condizione di profondo disagio e di incertezza per il futuro. La loro radicalizzazione spesso avviene incontrando altre persone con posizioni che fanno capo all’islam fondamentalista, con le quali vengono in contatto in carcere ma anche nei centri di accoglienza. Cresce, intanto, il pericolo di attentati in Europa: lo dimostrano gli allarmi in sei aeroporti francesi e in uno belga, l’evacuazione dei turisti dalla Reggia di Versailles, la bomba molotov contro una sinagoga in Germania.



Lampedusa ormai è diventato il principale punto di accesso dei migranti che con i barconi partono dal Nord Africa. È successo altre volte che i responsabili di azioni violente che si ispirano ai dettami dell’islam radicale fossero sbarcati proprio lì?

Ci sono stati diversi casi. Penso ad Anis Amri, l’attentatore dei mercatini di Natale di Berlino nel dicembre 2018 che ha trovato la sua fine a Sesto San Giovanni, dove la Polizia lo ha rintracciato e ucciso. Era sbarcato a Lampedusa e prima di portarsi in Germania era entrato nel circuito di accoglienza italiano. È un caso molto simile a quello di Bruxelles. Ma c’è anche il precedente dell’attentato all’interno della cattedrale di Nizza nel 2020, quando un altro tunisino, sbarcato almeno un mese prima a Lampedusa, si è reso responsabile di un assalto all’arma bianca facendo tre morti.



Arrivano già animati da sentimenti antioccidentali o solitamente si radicalizzato dopo essere sbarcati sul territorio europeo?

Il tunisino che ha agito in Francia tre anni fa era già radicalizzato, invece nel caso di Anis Amri la radicalizzazione è avvenuta all’interno dei centri di accoglienza italiani, dove è entrato in contatto con persone di cui ha fatto proprie le idee, fino a compiere l’attentato di Berlino in nome dell’Isis. Anche Abdesalem Lassaoued si sarebbe radicalizzato successivamente al suo arrivo sul suolo europeo: sembrerebbe, anche se non ci sono ancora conferme definitive, che l’elemento cardine che lo ha fatto radicalizzare sia stata l’espulsione dalla Svezia verso l’Italia, vissuta in modo tale da maturare un odio verso l’Europa e abbracciare idee più radicali. Anche per questo forse non è un caso che abbia ucciso proprio due tifosi svedesi che erano a Bruxelles la sera della sua azione.

La radicalizzazione, quindi, può avvenire come reazione a un rifiuto nei loro confronti?

È un processo che avviene perché nelle carceri o nei centri di accoglienza europei le persone entrano in contatto con ambienti radicali. I protagonisti della radicalizzazione spesso sono soggetti rimasti con la famiglia lontano, fragili, culturalmente deboli, che se vengono a contatto con gente che fa proselitismo rischiano di assorbire le loro idee. Ci sono casi ampi e documentati di radicalizzazione nelle carceri: spesso chi viene detenuto per reati minori quando esce è radicalizzato perché può incontrare all’interno chi fa proselitismo attirando persone più deboli verso la causa jihadista. Il primo caso di un italiano, un siciliano, convertito all’islam e alla jihad risale ai primi anni duemila, si è radicalizzato nel carcere di Agrigento dove aveva incontrato persone che lo hanno convinto a sposare la causa islamica.

I controlli della polizia come funzionano? C’è la possibilità di sapere, una volta che una persona è sbarcata in Italia, se le sue posizioni sono tali da doverlo tenere sotto controllo?

Se la radicalizzazione avviene in Europa la polizia del Paese di provenienza evidentemente non può saperne niente. Comunque nei centri di accoglienza è molto difficile capire se una persona si è radicalizzata. La maggior parte delle persone si radicalizza dopo l’arrivo, anche perché si disilludono rispetto alle aspettative che avevano prima di partire. I gruppi come l’Isis, invece, non utilizzano il canale migratorio per far giungere terroristi in Europa. La polizia italiana, insomma, al momento dello sbarco può fare ben poco, solo prendere atto dell’identità della persona che è arrivata.

C’è anche un’obiettiva difficoltà a individuare persone che comunque agiscono da sole?

Le persone radicalizzate tendono a non farsi scoprire, magari tengono la barba corta o hanno uno stile di vita occidentale per mimetizzarsi e cercare di non attirare sospetti.

Le persone incontrate in carcere o altrove che portano su posizioni fondamentaliste non sono, però, necessariamente terroristi, ma gente che ha maturato idee che costituiscono l’humus nel quale maturano anche progetti di attentati compiuti anche da singole persone. Giusto?

Bisogna fare differenza fra i terroristi e le persone radicalizzate. Queste ultime possono propagandare idee radicali ma senza compiere atti terroristici, semplicemente portano avanti idee a supporto dell’Isis o di Al Qaeda: anche questo è un reato, è apologia del terrorismo, ma non si tratta di veri e propri terroristi. Certo, le idee che propagandano possono attecchire nella mente di alcune persone, tra le quali c’è chi sposa la causa jihadista arrivando anche a compiere attentati.

L’attentatore di Bruxelles risulta che sia stato arrestato due volte a Milano, ma poi lo abbiamo tragicamente ritrovato in Belgio. C’è una falla nel sistema europeo di controllo?

Credo che questa persona in Belgio non avesse i requisiti per restare, d’altra parte era stato espulso dalla Svezia e rimandato in Italia proprio perché non poteva stare in un Paese diverso da quello di primo approdo. Se ci chiediamo perché è sfuggito alle polizie europee la risposta è che, evidentemente, ci sono delle falle nei sistemi di sicurezza del Vecchio continente. Anche Anis Amri, ad esempio, era una persona che in Germania non ci poteva stare.

Ma chi sono di solito i lupi solitari che si rendono protagonisti di azioni violente?

In gran parte sono tunisini, un fenomeno molto particolare. La Tunisia è forse il Paese più laico tra quelli nordafricani, più moderato, ma in realtà all’interno della società c’è uno zoccolo duro di persone che hanno una visione radicale dell’islam. Questo è dovuto soprattutto alle condizioni economiche del Paese, perché molti giovani vedono nell’islam radicale una sorta di rivalsa. Dalla Tunisia sono partiti molti foreign fighters all’epoca del califfato fra Siria e Iraq e molti terroristi in Europa hanno un’origine tunisina. Noi abbiamo l’idea di un Paese politicamente moderato, laico, dove, ad esempio, c’è il divorzio dagli anni 50, ma c’è una parte di società che è sempre più radicalizzata. Il giovane che ha ucciso nella cattedrale di Nizza quando era in Tunisia non andava nemmeno in moschea, a conferma forse che la sua adesione all’islam possa essere avvenuta come rivalsa per la sua condizione.

Quindi la radicalizzazione spesso è la reazione a un disagio profondo, personale?

La Tunisia non ha soltanto un problema economico, ma soprattutto un esercito di giovani senza prospettive: l’unica reazione allora può diventare l’adesione a idee più radicali, che non significa necessariamente frequenza assidua delle moschee, ma rivalsa verso l’intera società.

(Paolo Rossetti)

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