20 settembre 1973, esattamente 50 anni fa, per noi ragazzi di allora, assidui ascoltatori sulle onde medie del Secondo Canale Radio RAI della mitica trasmissione “Alto Gradimento”, a quel tempo rivoluzionario happening demenzial-musicale del duo Arbore-Boncompagni, fu il giorno di una triste notizia: il songwriter americano di origini italiane Jim Croce, del quale conoscevamo a menadito la produzione musicale, perdeva la vita in un incidente aereo. Si troncava così la vita e la carriera di un artista che da poco meno di tre anni stava spopolando nelle hit parade americane.



Molti, ora, magari i lettori più giovani, si staranno domandando chi fosse Jim Croce e perché per noi, grandi fruitori delle novità pop rock di quegli anni è così importante.

Croce (classe 1943; avrebbe compiuto 80 anni quest’anno) fu protagonista di una parabola creativa, purtroppo spezzata così tragicamente, della cui memoria rimangono solo briciole, eppure è considerato uno dei più interessanti cantautori del rock americano d’inizio anni ’70, creatore di una manciata di piccoli capolavori acustici che ascoltandoli ancora oggi mantengono intatta tutta la loro poesia. Insomma, Jim Croce, dalla fulva capigliatura nera tutta ricci, due grandi baffoni, faccia simpatica leggermente butterata e con l’onnipresente sigaro tra le labbra,  era un grande autore, ottimo chitarrista e dotato di un timbro di voce rassicurante.



Il suo genere compositivo venne frettolosamente catalogato come folk rock, ma i suoi brani abbracciavano, mantenendo uno standard qualitativo alto, la ballata pop, lo swing e galoppanti boogie woogie, aiutato da una vivace ispirazione. Era tra i nomi emergenti di quell’easy listening  nella cui schiera si stavano affermando i giovanissimi Cat Stevens e James Taylor, senza dimenticare il più “classico” John Denver (che tra l’altro farà la stessa fine tragica di Croce, vittima di un incidente aereo, alla fine degli anni ’90).

Il nostro eroe, nato a Philadelphia da genitori italiani immigrati negli States, inizia a suonare da piccolissimo e già a 18 anni, da bravo universitario forma il suo complessino. A metà degli anni ’60 si sposa e con la moglie incide un album, che però non ha successo. Delusi dal fallimento, riprendono una vita normale, diventano genitori e Jim sbarca il lunario facendo il camionista e il muratore. Ma la passione per la musica non lo abbandona e l’occasione della vita arriva con un contratto con la ABC Record. È il 1972.



Il contratto parla di una realizzazione di tre album da pubblicare in rapida successione (richiesta che era di normale amministrazione nell’industria discografica che gestiva il mondo del rock di quei tempi, talvolta andando a scapito della qualità del prodotto, anche se si aveva a che fare con veri campioni autoriali di quel genere  di musica).

Detto fatto, ecco che nell’arco di pochi mesi i dirigenti dell’ABC Record vengono accontentati e nell’anno stesso della firma del contratto nelle vetrine degli stores record arriva l’album “You don’t mess around with Jim” e poi “Life and Time” e a completare la trilogia, “I got a name” che il destino vuole che venga pubblicato postumo, proprio il giorno dopo il mortale incidente aereo.

Tutti e tre gli album decretano, finalmente il successo commerciale del loro autore: i brani che compongono le track list sono scrigni di splendide melodie e di accattivanti rock swing che si impongono immediatamente nelle FM statunitensi, arrivando da noi, come ricordavamo all’inizio, solo sulle onde RAI di “Alto Gradimento”.

Le canzoni raccontano le piccole storie quotidiane “on the road” della profonda America (immaginiamo un imberbe Springsteen trarre ispirazione per i suoi primissimi testi, specialmente negli accenni di Croce alla “workin’ class”).

“You don’t mess around with Jim” sarà il suo primo successo, un singolo mosso da un saltellante mid-tempo, “Bad bad Leroy Brown” un divertente honky tonk  dal ritornello contagioso e frizzante (racconta di un uomo cattivissimo, fatto secco da uno più cattivo di lui), che  verrà poi coverizzato e trasformato in un trascinante swing addirittura da Frank Sinatra qualche anno dopo.

Il resto della sua produzione si compone di brani acustici, sostenuti  da una essenziale trama di chitarre, da tocchi di tastiera e spruzzate di violini. Struggenti ritornelli, una nitidezza di scrittura straordinaria, una semplicità immediatamente empatica, insomma, evergreen per tutte le stagioni.

Con una intensità quasi unica titoli come “Photographs and memories”, “Operator”, “Alabama rain”, “These dreams” entrano di diritto nella storia del folk rock nel decennio dei ’70.

E, col senno di poi, c’è un suo testo, quello di “Time in the bottle”, malinconico brano già di suo, che risulta sorprendentemente profetico nella sua tragicità:

Se potessi conservare il tempo in una bottiglia

La prima cosa che mi piacerebbe fare

Sarebbe conservare ogni giorno fino a che l’eternità non finisca

Solo per trascorrerli con te. (…)

Mi sembra che non ci sia abbastanza tempo

Per le cose che vuoi fare, dopo che le hai scoperte (…)

Se avessi una scatola dei desideri e dei sogni che non sono mai diventati realtà,

la scatola resterebbe vuota, tranne il ricordo di come essi erano chiesti da te

Il tempo, in quella bottiglia, finiva il 20 settembre 1973, tra i resti di un aereo precipitato in fase di decollo in un aeroporto della Louisiana: si spegneva definitivamente il sorriso, in quella faccia baffuta che tradiva le origini italiane.

Come testimoni di quel periodo discografico, a chi lo vuol scoprire (grazie alla lettura di queste righe) e magari a chi lo vuol ri-scoprire consigliamo una raccolta di suoi successi che trovate sulle piattaforme digitali, una delle più complete editata dalla mitica Rhino Records: “Jim Croce classics hits”. Inoltre chi smanetta su Youtube ha la possibilità di vedere interi suoi concerti tenuti proprio nel suo periodo più prolifico, spesso semplici performance realizzate da lui e dal suo fedele chitarrista accompagnatore Maury Muehleisen: un bel tributo attraverso la piattaforma, a distanza di mezzo secolo dalla morte di uno dei più interessanti e sfortunati songwriter della storia del rock.

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