Quello che è stato definito “probabilmente il più grande strumentista nella storia della musica rock” muore a soli 27 anni il 18 settembre di 50 anni fa. E’ uno del “club dei 27”. A partire dal leggendario chitarrista blues Robert Johnson, quello di cui le leggende dicono avesse venduto l’anima al diavolo in cambio dell’abilità nel suonare la chitarra morto avvelenato probabilmente da un marito geloso nel 1938, nel giro di tre anni, dal 1969 al 1971, muoiono in sequenza Brian Jones, fondatore dei Rolling Stones; Jimi Hendrix; Janis Joplin e Jim Morrison cantante dei Doors. Tutti avevano 27 anni. Anni dopo si sarebbero aggiunti Kurt Cobain e Amy Winehouse. Tutte le morti sono legate dall’abuso di alcolici o droghe, nel caso del leader dei Nirvana suicidio.



Come nel caso di Brian Jones e di Jim Morrison, la morte di Hendrix rimane legata al mistero, anche se solo in parte.

In poco più di tre anni, il chitarrista afroamericano di sangue anche Cherokee, aveva bruciato le tappe di una carriera che una persona normale ci avrebbe messo dieci anni a fare lo stesso. Ma a quei tempi funzionava così: anche due dischi all’anno e poi centinaia di concerti in giro per il mondo per sfruttare commercialmente il più possibile il fenomeno. E Hendrix fenomeno lo era davvero, un autentico mostro della chitarra come non ce ne sarebbero stati più, solo degli imitatori. Dal suo strumento tirava fuori ogni genere di gemito, urlo spasmodico, effetto speciale fino a imitare il rumore delle bombe e delle mitragliatrici della guerra in Vietnam. Ma era anche un musicista appassionato, capace di rileggere il blues, la musica della sua gente, con note strappalacrime come nessun altro.



La sua fiamma, per lui, ex marine ed ex chitarrista di Little Richard trasferitosi a Londra, si accese al Festival d Monterey nel 1967. Una vera e propria fiamma: a fine esibizione incendiò la sua chitarra davanti a un pubblico esterrefatto e terrorizzato, come a immolare l’idolo che fino a quel momento aveva innalzato, quasi come una pulsione sessuale. Jimi Hendrix con la sua chitarra faceva l’amore.

Quattro in tutto i dischi pubblicati: Are you exprienced, nel maggio 1967; Axis: bold as love a dicembre dello stesso anno; il capolavoro, il doppio Electric ladyland a settembre 1968 con l’immortale cover di All along the watchtower di Bob Dylan e infine Band of gypsys nel marzo 1970.



Dopo essersi esibita all’Isola di Wight il 30 agosto, la sua ultima esibizione è il 6 settembre in Germania. Sfinito, senza più stimoli artistici, in mezzo a una causa legale per liberarsi del suo manager, stufo di un pubblico che lo voleva ripetere all’infinito come una bestia da zoo i suoi vecchi trucchetti come dare alla fiamme la chitarra o suonarla con i denti, Hendrix si chiuse a casa di una delle sue tante fidanzate, Monika Dannemann, una pittrice tedesca, al Samarkand Hotel di Londra. In realtà lui abitava in un altro hotel molto più lussuoso poco distante, ma aveva bisogno di compagnia. Hendrix soffriva di insonnia cronica, prendeva gran quantità di barbiturici e aveva un brutto raffreddore. L’11 settembre concede la sua ultima intervista: è sfiduciato, stanco.

Il pomeriggio del 18 settembre i due fanno shopping per le vie di Londra. All’una e 45 di notte la ragazza porta Hendrix a un party a cui era stato invitato da un amico musicista. Parlando con gli amici, si lamenta del music business e prende almeno una tavoletta di anfetamina. Hendrix e la sua ragazza, poi, litigano vistosamente davanti a tutti e alle 3 di notte tornano all’hotel. La donna dirà alle autorità di aver preparato due sandwich di tonno. Il chitarrista non riesce a dormire e chiede a Monika dei sonniferi che lei, dice, rifiuta di dargli. Alle 6 del mattino lo trova ancora sveglio. Lei si riaddormenta per svegliarsi intorno alle 10 di mattina: Hendrix, dirà, stava dormendo tranquillamente. Esce di casa per comprare delle sigarette e quando torna verso le 11 lo trova che fa fatica a respirare, senza sensi. Il suo volto è coperto di vomito. E’ in quell’ora di tempo che si sarebbe consumato tutto. Il dubbio sorge legittimo: possibile che Hendrix si sia sentito male proprio nel momento in cui rimane solo? Monika chiama una ambulanza che arriva nel giro di dieci minuti. Qua cominciano le ipotesi e i misteri. Gli infermieri provano a far reinvenire Hendrix ma senza risultati e lo portano all’ospedale St. Mary Abbot dove dopo altri tentativi di rianimazione Hendrix muore. 

Il medico Dr. Martin Seifert  dichiara: “Jimi è stato portato di corsa nella stanza [di rianimazione]. È stato acceso un monitor, ma [la traccia ECG] era piatta. Ho premuto il suo cuore un paio di volte, ma non c’era niente da fare, era morto “. Secondo Seifert, il tentativo di resuscitare Hendrix è durato “solo pochi minuti”. Il dottor John Bannister, ha commentato: “Aveva freddo ed era blu. Aveva tutti i parametri di qualcuno che era morto da tempo. Abbiamo lavorato su di lui per circa mezz’ora senza alcuna risposta.” Bannister dichiara morto Hendrix alle 12:45 di venerdì 18 settembre 1970; aveva 27 anni. In seguito affermò: “Al momento del ricovero era evidentemente morto. Non aveva né pulsazioni né battiti cardiaci, e il tentativo di rianimarlo era solo una formalità.”

La polizia trova nella camera da letto dell’albergo diverse confezioni di sonniferi. C’è del vomito dappertutto. In seguito Monika ammetterà che Hendrix aveva preso ben dieci pillole di sonnifero per cercare di addormentarsi, 18 volte la dose consentita. Soffriva di raffreddore e le anfetamine prese nelle ore precedenti avevano causato il vomito che in pratica lo aveva soffocato impedendogli di respirare. Quando arrivò la polizia Monika era sparita. Nell’autopsia eseguita non fu trovata traccia di eroina e il cuore non aveva problemi. Solo i polmoni erano rovinati, uno dei due era parzialmente collassato e c’era molto fluido nel suo petto. C’era del vomito nei bronchi. Nel suo sangue c’erano forti tracce di barbiturici. Causa della morte venne dichiarata: “Inalazione di vomito dovuta a intossicazione da barbiturici”. Venne dichiarato anche che il paziente non aveva avuto nessuna intenzione di suicidarsi.

Negli anni successivi Monika rilasciò differenti dichiarazioni su come fosse trascorsa quella notte. Ad esempio di aver telefonato al comune amico il cantante Eric Burton alle 10 del mattino dicendogli che Hendrix stava male, di correre lì. Burdon sconfessò tale chiamata. Monika avrebbe poi detto di aver telefonato all’ambulanza già alle 10 del mattino e di essere andata all’ospedale con gli infermieri. Dunque prima delle 11. Sia Burton che gli infermieri smentirono queste dichiarazioni.

Monika Dannemann si sposerà con il chitarrista degli Skorpions, gruppo tedesco, per morire nel 1996 a soli 50 anni, portandosi nella tomba il mistero di quella notte. Nel 1992 verrà riaperta l’inchiesta sulla morte di Hendrix, chiusa con un nulla di fatto un anno dopo.

Resta solo da chiedersi quanto ancora Jimi Hendrix avrebbe potuto dare alla musica se non fosse morto così giovane, quella notte di cinquant’anni fa. Lui era probabilmente il più grande strumentista nella storia della musica rock”.

Anche quella notte, l’ultima della sua vita, Hendrix, aveva lavorato, aveva scritto il testo di una poesia che forse, chissà, un giorno avrebbe musicato. La trovò l’amico Eric Burdon. Cominciava così: “La storia di Gesù è così facile da spiegare” e finiva con “La storia della vita è più veloce di un batter d’occhio”. Erano le parole di un uomo stanco ed angustiato, di qualcuno che non avevo dubbi sulla fine che stava per fare. Aveva sfidato il destino, consapevole. Aveva trovato la via per la pace del suo spirito” (Sharon Lawrence, amica e confidente di Jimi Hendrix, in un suo libro intitolato JIMI HENDRIX, L’UOMO, LA MAGIA, LA VERITÀ).