La Corte Costituzionale si è pronunciata sul Jobs Act, nota riforma del lavoro del governo Renzi, definendolo illegittima e prevedendo il reintegro dei lavoratori in caso di licenziamento nullo, qualora la nullità venga espressamente sancita. Ad annunciarlo è stata la stessa Consulta attraverso una nota, spiegando quindi che tutti i lavoratori il cui licenziamento è risultato essere nullo, hanno diritto ad un reintegro.



TgCom24.it ha pubblicato la sentenza della stessa Corte Costituzionale in cui si legge che la stessa “Ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, primo comma, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, limitatamente alla parola “espressamente”. Tale disposizione, quindi, è stata ritenuta illegittima nella parte in cui, nel riconoscere la tutela reintegratoria, nei casi di nullità, previsti dalla legge, del licenziamento di lavoratori assunti con contratti a tutele crescenti (quindi a partire dal 7 marzo 2015), l’ha limitata alle nullità sancite “espressamente”.



JOBS ACT, LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE DOPO LA CASSAZIONE

La Corte ha ricordato come la Cassazione avesse già riconosciuto la “tutela reintegratoria nei casi di “licenziamenti nulli” senza distinzione alcuna”. Quindi la Corte costituzionale “ha ritenuto fondata questa censura, osservando in particolare che il criterio direttivo, nella parte rilevante in proposito, aveva segnato il perimetro della tutela reintegratoria del lavoratore nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, escludendola, in negativo, per i licenziamenti “economici”, e prevedendola, in positivo, nei casi di licenziamenti nulli, discriminatori e di specifiche ipotesi di licenziamento disciplinare”.



La note della Corte precisa ancora che si sottolinea “Che il testuale riferimento ai “licenziamenti nulli”, contenuto nel criterio direttivo, non prevedeva – e non consentiva quindi – la distinzione tra nullità espresse e nullità non espresse, ma contemplava una distinzione soltanto per i licenziamenti disciplinari ingiustificati. Il legislatore delegato, al contrario, ha introdotto una distinzione non solo per questi ultimi, ma anche nell`ambito dei casi di nullità previsti dalla legge, differenziando secondo il carattere espresso (e quindi testuale), o no, della nullità. Inoltre, prevedendo la tutela reintegratoria solo nei casi di nullità espressa, ha lasciato prive di specifica disciplina le fattispecie “escluse”, ossia quelle di licenziamenti nulli sì, per violazione di norme imperative, ma privi della espressa sanzione della nullità, cosi’ dettando una disciplina incompleta e incoerente rispetto al disegno del legislatore delegante”.

JOBS ACT, IL CASO NATO DA UN AUTISTA TOSCANO

Quindi la Corte Costituzionale conclude dicendo: “Dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata, limitatamente alla parola “espressamente”, consegue che il regime del licenziamento nullo è lo stesso, sia che nella disposizione imperativa violata ricorra l`espressa sanzione della nullità, sia che ciò non sia testualmente previsto”.

La decisione della Corte Costituzionale sul Jobs Act, come si legge sul sito del Corriere della Sera, sarebbe giunta a seguito di un caso di licenziamento di un autista toscano che era stato annullato ma bocciando il reintegro. L’autista era stato allontanato dalla ditta per cui lavorava nel 2018, e ieri, 22 febbraio 2024, ha ottenuto il reintegro (sempre che lo stesso lo voglia), così come stabilito dalla Cassazione, situazione quindi estesa a tutti i casi simili da parte della Corte Costituzionale.