La Corte di Giustizia Ue nella sentenza sul caso K.O-Consulmarketing SpA dà ragione all’Italia e dunque anche alla riforma del diritto del lavoro dei Governi Renzi-Gentiloni nota come “Jobs Act”:  in caso di licenziamento illegittimo, un lavoratore assunto dalla Consulmarketing con il Jobs Act non ha diritto al reintegro in azienda, e la norma non è contraria al diritto dell’Ue.



Questo ha stabilito la Corte Ue sul ricorso presentato da K.O., un lavoratore licenziato insieme ad altri 350 colleghi nel 2017 dalla Consulmarketing SpA ma unico a non essere reintegrato – dopo che il Tribunale di Milano aveva considerato illegittimo il licenziamento – per il fatto che era assunto a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore della riforma Jobs Act (7 marzo 2015). La storia nasce appunto da lontano, quando 4 anni fa una procedura di licenziamento collettivo coinvolte purtroppo 350 propri lavoratori: tutti fecero poi ricorso al Tribunale di Milano, vincendo e ottenendo il reintegro in azienda, ad eccezione di K.O..



COSA DICE LA SENTENZA UE SUL JOBS ACT

Il giudice europeo ha deciso e sentenziato che il comportamento dell’Italia in merito allo specifico caso di quel lavoratore non è affatto in contrasto alle regole europee e norme nazionali: «non può beneficiare dello stesso regime di tutela degli altri lavoratori licenziati», perché la data di conversione del suo contratto di lavoro a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato «era successiva al 7 marzo 2015». Da quella data in poi, proprio per la riforma del Governo Renzi (poi ultimata e dettagliata nel 2016 dal Governo Gentiloni) in Italia vigono due regimi di tutele in caso di licenziamento collettivo: un lavoratore a tempo indeterminato, con contratto stipulato fino al 7 marzo 2015, può rivendicare la reintegrazione nell’impresa; per tutti gli altri invece, vi è diritto solo a una indennità monetaria con una soglia massima.



È stato il Tribunale di Milano a ricorrere in Corte di Giustizia Ue per porre la questione sul fronte internazionale ma i magistrati del Lussemburgo hanno osservato che «l’assimilazione a una nuova assunzione della conversione di un contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato può essere giustificata dal fatto che il lavoratore interessato ottiene, in cambio, una forma di stabilità dell’impiego. Questa assimilazione, per i giudici, può effettivamente incentivare i datori di lavoro a convertire i contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato» (fonte Adnkronos, ndr).