Con il nuovo decreto europeo salva infrazioni, sono state riviste delle regole sul jobs act. Le modifiche sono state apportate sui contratti di lavoro a termine (sia riguardanti il settore pubblico sia quello privato).
I cambiamenti riguardano – come accennato – sia il settore privato che quello pubblico. Grazie ad una rivisitazione dell’articolo 28 del comma 2 e comma 3, del decreto numero 81/2015, sono stati introdotti – giusto per fare un esempio – i risarcimenti “illimitati“.
Modifiche al jobs act, cosa cambia?
Il primo cambiamento sul jobs act riguarda i risarcimenti illimitati (almeno potenzialmente). Nel caso in cui i datori di lavoro abusassero dei contratti a termine allora il dipendente potrà richiedere un rimborso sui danni subiti (prima corrispondeva a massimo 12 mensilità di stipendio, ora non ci sono limiti).
Interventi severi anche sui contratti del settore pubblico, dove la riscrittura dell’articolo 36 del Decreto Legislativo 165/2001, ha permesso al lavoratore di poter denunciare l’abuso su un contratto a tempo determinato.
Il Legislatore può infliggere una pena che va da un minimo di quattro a massimo dodici mensilità dell’ultimo stipendio. Il fattore che incide maggiormente è la gravità della violazione contestata.
Le conseguenze
Una normativa simile e a favore dei contratti di lavoro flessibili, era stata già attivata nel lontano 2015, dove però erano sorti dei problemi importanti: pochi indennizzi e inadeguati rispetto al danno subito, e un lungo iter processuale.
Questi problemi erano stati risolti con il jobs act, che però a fronte di alcune rivisitazioni ha subito dei cambiamenti significativi. Una delle penalizzazioni subite ad esempio, è stata la pronuncia della Corte Costituzionale che smantellato parte delle garanzie a tutela dei dipendenti (con l’introduzione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo).
Tuttavia la normativa sui contratti a termine – con le attuali variazioni al jobs act – prevede che il lavoratore può essere assunto a tempo determinato per un periodo massimo di dodici mesi, e soltanto in casi eccezionali si può prorogare a 24 mesi.
Ogni caso di proroga eccezionale dev’essere valutata in modo soggettivo, e può includere ad esempio l’assenza di una normativa di un contratto collettivo per quel settore o la nascita di esigenze indispensabili che costringono l’azienda a sostituire il lavoratore.