Mancano tre giorni a Natale. Joe Strummer è seduto al tavolo della sua cucina. E’ tornato da una passeggiata nei campi intorno alla sua casa nelle campagne del Somerset, nel sud ovest dell’Inghilterra, con i suoi cani. Sta disegnando personalmente i biglietti di auguri da inviare ai suoi amici. Disegna delle piccole navi che vanno verso l’orizzonte su un grande mare. Sente dei dolori. Si siede sul divano e si accascia. Muore. Soffriva di cardiopatia congenita non diagnosticata. Avrebbe potuto morire dieci anni prima o vivere altri trent’anni.



Quattro mesi prima aveva compiuto 50 anni. Vent’anni prima era uscito l’ultimo disco dei Clash con tutta la formazione originale, Combat Rock, contenente il loro maggior successo commerciale, Rock the Casbah, un brano che avrebbe potuto essere scritto di questi tempi, come d’altronde tutti i loro pezzi. Uno sceicco mediorientale ordina alla sua aviazione di bombardare i suoi stessi sudditi, che si stanno ribellando. Come le migliori canzoni dei Clash, riesce ad essere una melodia pop e una canzone di protesta allo stesso tempo.



Joe Strummer si era sempre rifiutato di rimettere insieme la sua vecchia band, nonostante le offerte milionarie. “Per me i Clash sono un ricordo uguale a quello di un veterano che è stato in guerra in Vietnam, dei flashback che mi procurano angoscia” mi disse nell’intervista che facemmo un paio di anni prima della sua morte.

Il 15 novembre di quell’anno, per la prima volta in vent’anni, Strummer e il suo vecchio compagno Mick Jones erano apparsi di nuovo insieme su un palcoscenico. Sarebbe stata la prima e ultima volta, ma chissà se Joe non fosse morto. Era un concerto di beneficenza per i pompieri in sciopero. Jones era tra il pubblico e alla fine della serata salì sul palco. Insieme, fecero tre classici dei Clash come Bankrobber, White riot e London’s Burning.



La grandezza dei Clash è stata quella di unire brani d’assalto, fortemente politici, con melodie quasi pop. Erano canzoni che assomigliavano alla stampa clandestina di un tempo, con la funzione di attaccare e prendere in giro le autorità. In un certo senso, più che un gruppo politico erano una band satirica.

“Politicamente a quei tempi con la Thatcher in Gran Bretagna e Reagan alla Casa Bianca, non sembrava un bel periodo per la sinistra”, avrebbe detto Strummer in una delle sue ultime interviste. “E noi eravamo sempre a sinistra. Ma, detto questo, non avevamo nessuna soluzione ai problemi del mondo. Stavamo cercando di crescere in modo socialista verso un futuro in cui il mondo avrebbe potuto essere un posto meno miserabile di quello che è”.

Il primo singolo dei Clash, White Riot, pubblicato nel 1977, era un invito ai giovani bianchi a sollevarsi in segno di protesta, nel modo in cui Strummer sentiva che i giovani neri nel Regno Unito stavano già facendo. La coscienza sociale di Strummer ha sempre continuato a incitare i musicisti, da Bruce Springsteen ai Green Day agli U2. “I Clash sono stati la più grande rock band di sempre” ha detto una volta Bono. Nella canzone Constructive Summer, il cantante degli Hold Steady grida al suo eroe: “Fai un brindisi a Saint Joe Strummer! / E’ stato il nostro unico insegnante decente”.

La forza del gruppo, soprattutto di Strummer, uno che nella bolgia dei loro concerti si inginocchiava a stringere le mani del suo pubblico, era che erano persone vere e stavano dalla parte delle persone.

“Se non stai pensando all’uomo, a Dio e alla legge, allora non stai pensando a niente”, aveva detto in un’intervista del 1988. In canzoni dei Clash come White Riot e London Calling, Strummer e il suo compagno Mick Jones, avevano saputo unire la rabbia individuale del punk alle tensioni di classe, di razza e di repressione.

Vero nome John Graham Mellor, nato ad Ankara, in Turchia, figlio di un ufficiale dei servizi esteri britannici, aveva vissuto in Egitto, Messico e Germania Ovest prima di andare di tornare in Inghilterra a studiare alla London Central School of Art and Design. Se ne andò di casa giovanissimo a vivere in case occupate, facendo lavori saltuari come il becchino e il trasportatore di rifiuti. Scelse il suo nome d’arte (“strimpellare”) ispirato dal suo modo di suonare la chitarra nella metropolitana, pensando allo stile del suo eroe Woody Guthrie.

Perché alla fine tutto torna lì, a coloro che hanno aperto le strade. “Una canzone è qualcosa che scrivi perché non riesci a dormire se non la scrivi”. Aveva detto.

Vent’anni dopo la sua morte, Joe Strummer è una mancanza impossibile da riempire nella storia del rock e non solo. Morendo così giovane, forse, ha voluto lanciare l’ultimo del suoi messaggi, nello stile che gli apparteneva da sempre. Aveva detto che “il futuro non è scritto” e lasciandoci così, ci ha detto che la responsabilità di agire nella società appartiene a ognuno di noi. Nessuno può prendere il nostro posto. Ma ci manca, ci manca tantissimo.