Era sempre stato affascinato dal mistero di un cosmo che può ospitare un fenomeno così straordinario e complesso come la vita e la vita intelligente; lo colpiva soprattutto il fatto che “le condizioni necessarie per l’evoluzione di una complessità organizzata nell’universo dipendono da un numero elevato di notevoli coincidenze fra i valori della varie costanti naturali”. Per questo John Barrow aveva aderito all’idea del cosiddetto Principio Antropico, secondo il quale noi viviamo in un universo fatto in modo tale da permettere la vita come la conosciamo.



Pochi giorni fa Barrow ci ha lasciato: si è spento, all’età di 67 anni nella notte del 26 settembre, nella sua casa di Cambridge. Cosmologo, matematico e fisico, noto in tutto il mondo scientifico per i suoi studi, era conosciuto anche da un vasto pubblico per molti dei suoi libri a carattere divulgativo, scritti in linguaggio rigoroso ma piacevole e accessibile. La sua attività di ricerca e comunicazione ha prodotto oltre 25 libri, tradotti in una ventina di lingue, e oltre 500 articoli scientifici. Ha ottenuto il dottorato in astrofisica all’Università di Oxford, nel 1977, ma ha assunto grande notorietà nel 1986, proprio con il libro The Anthropic Cosmological Principle, scritto in collaborazione con Frank Tipler: in esso i due studiosi arrivano a introdurre persino un “principio antropico ultimo” che suona così: “Deve necessariamente svilupparsi una elaborazione intelligente dell’informazione nell’Universo e, una volta apparsa, questa non si estinguerà mai”. In altre parole, Barrow e Tipler sostenevano che non ha senso che un universo con la capacità di produrre la vita intelligente non duri a sufficienza per svilupparla.



Al di là comunque di questo dibattito, va ricordato come Barrow, in questo come in tanti altri suoi lavori, abbia cercato di andare oltre le rigorose leggi fisiche, per entrare in un terreno dove questioni scientifiche, filosofiche e teologiche si intrecciano per cercare di costruire un’immagine dell’universo e per dare un senso alla nostra presenza. Col suo lavoro Barrow si è soprattutto impegnato per studiare quegli aspetti della struttura dell’universo e delle sue leggi che hanno reso possibile la nascita in esso della vita e che gli hanno fatto assumere quelle caratteristiche quali oggi ci appaiono.



Molti sono stati i premi e i riconoscimenti ottenuti da Barrow: tra essi il più importante è il prestigioso Premio Templeton, ottenuto nel 2006, un riconoscimento assegnato a studiosi che hanno sviluppato le potenzialità delle scienze per esplorare le questioni più profonde dell’universo e il posto dell’umanità in esso. Attualmente John ricopriva la cattedra di matematica all’Università di Cambridge ed era decano della Clare Hall di quella università.

Ma una cosa mi lega particolarmente a Barrow: l’avevo conosciuto agli inizi degli anni 90 in alcuni dei convegni che allora avevo cominciato a organizzare alla Villa Monastero di Varenna, e in cui si discutevano problemi di scienza, di filosofia e di teologia. Da allora è nata una profonda amicizia, aiutata anche dal fatto che sia John sia sua moglie Elizabeth erano innamorati dell’Italia e in particolare di Milano. Già colpito dalla malattia, John mi scrisse che sarebbe venuto a trascorrere una settimana di vacanza con Elizabeth a Milano alla fine dello scorso mese di agosto. In effetti venne, in treno da Londra a Milano, e la sera del 19 agosto ebbi con i Barrow una simpaticissima cena, che difficilmente potrò dimenticare. John appariva abbastanza provato nel fisico, ma molto sereno e mi intrattenne tutta la sera parlando dei suoi progetti futuri. I Barrow andarono poi sul lago di Como, a Varenna. Forse John voleva imprimersi un ultimo ricordo dei posti che tanto amava.