Nel 1974 John Denver era uno dei molti cantautori americani di successo di quel periodo storico. Gli anni 70 infatti, dopo la sbornia utopista prima delle grandi marce per i diritti degli afro americani poi degli hippie che dichiaravano di “poter cambiare il mondo” con “pace & amore”, erano cominciati con una svolta nel privato e nell’intimismo. Martin Luther King era stato ammazzato nel 1968 e la conseguenza era stato lo sfociare di rivolte di massa nelle città americane, quartieri dati alle fiamme, morti per strada. Quello che King aveva predicato, la non violenza per cambiare il sistema, passava di mano a gruppi terroristi come le Black Panther, con la brutale repressione poliziesca. Gli hippie pacifisti contro la guerra in Vietnam, non solo vedevano quella guerra continuare nonostante tutto, ma anche il sogno di amore libero, droghe che “aumentassero l’area della coscienza” diventava una caduta all’inferno con l’arrivo di eroina e cocaina sui mercati che aumentavano le vibrazioni negative. Il culmine si raggiunse con la strage di Bel Air, dove un gruppo di loro, capitanato da Charlie Manson, fece strage nella villa del regista Roman Polanski, uccidendo e squarciando il ventre in gravidanza della moglie del regista tra gli altri. Si scioglievano anche i Beatles, simbolo dei tutte quelle utopie del decennio, con un John Lennon che dichiarava “Il sogno è finito”. Fu ovvio per i protagonisti della musica rinchiudersi a casa, leccandosi le ferite, così come facevano i giovani americani che mestamente si tagliavano i capelli, si mettevano la cravatta e tornavano a lavorare, e ripensare al rapporto di coppia come unica possibilità di convivenza. John Denver aveva cominciato a metà anni sessanta come musicista folk nel Chad Mitchell Trio a Los Angeles, per poi trasferirsi nella mecca della musica d’autore a New York, al Greenwich Village dove bazzicavano i giovani Bob Dylan, Paul Simon e tanti altri. Il suo primo successo da solista arriva all’alba degli anni 70, nel 1971, si intitola Poems, Prayers and Promises (poesie, preghiere e promesse) e grazie al singolo Take Me Home Country Roads diventa subito un successo. Una canzone indicativa quella: lasciare le grandi metropoli inquinate e corrotte per rifugiarsi in campagna. Si trasferisce a vivere nel Colorado, uno dei paradisi della natura incontaminata degli States, sviluppando in tempi non sospetti una coscienza ambientalista. Un giorno, mentre sta sciando sulle Rocky Mountains, attaccato allo ski lift, vede con occhi nuovi quella meravigliosa natura che lo circonda. Gli viene in mente una canzone, certo non il luogo dove di solito i cantanti scrivono le canzoni, una pista da sci. Le canzoni rock sono quasi sempre scritte usando il pronome personale “tu”, a volte la terza persona, “egli” quando l’artista si vuole camuffare nei testi per non scoprirsi troppo.
IL TU NELLE CANZONI ROCK
Ma da quando uscì Like a Rolling Stone (“Tu sei andata nelle migliori scuole, signorina solitudine…”) di Bob Dylan, la più grande canzone rock di tutti i tempi, il rivolgersi direttamente all’interlocutore divenne la regola. E’ una delle forze di questa musica, il colloquio diretto, senza nulla che si metta di mezzo fra me e te. Il “tu” come unica realtà che possa corrispondere all’oggetto proprio del desiderio umano. Si apre così la ricerca del “Tu” ultimo; solo in questo modo il “tu” umano non viene ridotto a qualcosa che si può ridurre al possesso. Quel tu che si identifica nella persona desiderata o amata, ma che spesso contiene un tu più grande, di indefinibile, il senso del mistero che Denver, in Annie’s Song, la canzone che gli venne in mente sullo ski-lift, sente vibrare dentro se stesso mentre guarda a bocca aperta la bellezza del mondo che lo circonda e allo stesso tempo pensa alla persona amata: “Tu riempi i miei sensi, come la notte nella foresta. Come una montagna in primavera, come un cammino nella pioggia. Come una tempesta nel deserto, come un dolce oceano blu. Tu riempi i miei sensi, vieni, riempimi nuovamente. Vieni, lascia che ti ami, lasciami dare la mia vita a te. Lascia che mi immerga nel tuo riso, lasciami morire nelle tue braccia. Lasciami giacere accanto a te, lasciami essere sempre con te”. Con Annie’s song il tu diventa un tutt’uno tra lei e il mondo, si fondono in una coscienza di tu come un unicum che rimanda a un Tu più grande. Chi non vorrebbe tutto questo, fino al punto di desiderare di morire tra le braccia della persona amata? Chi non desidera un amore che duri in eterno? Chi non desidera un tu che sappia guardarti per quello che sei? Tutti, che se ne rendano conto o meno. E’ il desiderio che anima il cuore dell’uomo. La vita però tende spesso a ridurre quel desiderio con la sua quotididianeità fatta delle nostre piccole miserie. Non a caso John Denver disse che aveva scritto quel brano proprio come opposizione alla realtà della vita quotidiana. Cioè, in altre parole, come desiderio di qualcosa di più grande. Per un bizzarro quanto triste avvenimento del destino, John Denver che al suo amore per la natura aveva aggiunto la passione del volo, muore il 12 ottobre 1997, a soli 54 anni, quando il suo Rutan Long-EZ precipita nella baia di Monterey in California. Mare, montagne, boschi e spiagge, una vita vissuta in contemplazione, esprimendosi nella dote più bella che l’uomo ha a disposizione, il canto.