“Una combinazione di Peccato e Salvezza” è la definizione di country music secondo Bruce Springsteen. “La regola della musica country si fonda sul sabato sera e la domenica mattina. Pentirsi la domenica mattina per quello che si è fatto la sera prima”. Così potrebbe essere sinteticamente descritta anche la vita di Johnny Cash, che del country è stato uno dei principali protagonisti, passata tra lo sballo del Saturday Night e il pentimento del Sunday Morning. Una vita vissuta pericolosamente ricca di successi e passi falsi, di spiritualità ed eccessi, di errori e redenzione. Una vita turbolenta ma sempre tesa alla ricerca di un segno della grazia di Dio.



A vent’anni dalla morte, avvenuta a Nashville il 12 settembre 2003, Baldini+Castoldi ripubblica l’autobiografia dell’Uomo in Nero (Collana: I Fenicotteri, Johnny Cash L’autobiografia, 345 pag, 20 euro) divenuta introvabile in commercio. Pubblicato per la prima volta nel 1997, il libro ripercorre il percorso umano e artistico del Man in Black dalla nascita nell’Arkansas rurale nel 1932 fino agli inizi della rinascita con Rick Rubin dei primi anni novanta con l’American Recordings. Scritto principalmente nella sua residenza giamaicana di Cinnamon Hill, il viaggio nel tempo tra i ricordi avviene utilizzando l’espediente narrativo del suo tour bus, l’Unità Uno, che per molti anni lo ha accompagnato in lungo e in largo negli States.



Ben nota l’apertura dei suoi concerti “Hello, I’m Johnny Cash”, nel libro si presenta come John R. Cash: “Sono nato il 26 febbraio del 1932 a Kingsland, in Arkansas. Ho sei fratelli, siamo tutti cresciuti lavorando nei campi di cotone”. Johnny nella sua memoria parte dall’infanzia, la grande depressione, il duro lavoro nei campi e l’arruolamento nell’Air Force in Germania dove viene impiegato nel reparto radio per decifrare i codici russi (primo ad intercettare la notizia della morte di Stalin). Il libro ci riporta poi agli albori della Sun Records, etichetta gestita da Sam Phillips, che ha creduto in Johnny Cash e che al tempo aveva sotto contratto artisti del calibro di Elvis Presley, Jerry Lee Lewis, Carl Perkins e Roy Orbison: “A volte mi sembra di essere di nuovo nel 1956, di nuovo in tour con Carl, Roy, Jerry Lee, Elvis e il resto della gang di Memphis”.



Il racconto non risparmia i dettagli del periodo doloroso e tormentato trascorso con la prima moglie Vivian Liberto, dalla quale ha avuto quattro figlie, terminato con il fallimento della relazione di cui Johnny si assume la piena responsabilità. Ovviamente ben più spazio è riservato all’incontro artistico e sentimentale con June Carter che si unisce ai suoi concerti nel 1961 per non lasciarlo più: si sposa in seconde nozze e rimarrà la sua compagnia per il resto dei suoi giorni. Tra i passaggi chiave la tragica morte in un incidente in segheria dell’amato fratello quattordicenne Jack che per lui rimarrà un faro per tutta la vita (“Cosa avrebbe fatto Jack al posto mio?”) e il rapporto di amicizia con Pete Barnhill, paralitico sin dall’infanzia ma di grande forza morale che ispirerà “il mio modo di suonare la chitarra e di tenere il ritmo battendo il pollice sulla cassa”.

Johnny Cash è stato la “Voce d’America” con lo spettacolo televisivo da lui condotto la sua figura è stata così rilevante da essere definita dal New York Times “Una irripetibile storia americana”. La parabola di Johnny Cash, che si è ripetuta più volte, è fatta di successi, fallimenti, redenzione e rinascita. Johnny ha raggiunto il culmine della carriera di musicista negli anni settanta mentre la sua affermazione come personaggio pubblico è avvenuta sin dagli inizi della carriera: “La mia stella ha iniziato a brillare negli anni cinquanta, si è raffreddata un po’ negli anni sessanta, si è riaccesa nel ’68 e fino al ’71 e poi ha iniziato ad affievolirsi”. Fervente religioso e amante della Bibbia, la crisi commerciale avviene negli anni ottanta a seguito del coming out religioso in televisione e alla sua ostinata produzione di dischi gospel: “Ero praticamente invisibile senza nessun brano in classifica”. Infine la rinascita con Rick Rubin (“è comparso nella mia vita nel 1993”) che ha saputo ricavare “l’essenza pura del vero Johnny Cash” nella semplicità del suono della chitarra e della sua fantastica voce.

Sono davvero tante le persone, di cui si è circondato in vita, che sono citate nel libro tra familiari e amici, musicisti e produttori e per ognuno di loro ha saputo trovare una buona parola. Nell’insieme il quadro che emerge non è di rimpianto o di una vita perduta, per quanto Johnny Cash riconosca più volte di avere sbagliato. Le varie dipendenze come l’uso di amfetamine, l’alcol, i barbiturici e le conseguenze che il loro abuso hanno provocato, certamente hanno condizionato le sue azioni in negativo, eppure la sua forza nella fede, tra continui cedimenti e riscoperte, è stata anche la sua salvezza. Johnny Cash ha vissuto i suoi errori e i suoi malanni fisici come “spine nella carne”, le tante sofferenze sono state affrontate come un volere divino, come dei segni tangibili che si sono rivelati utili per apprezzare ancora di più le tante grazie ricevute, accettando come sfida personale tutte le conseguenze fino al giorno della morte.

Il libro si apre con una dedica all’ultimogenito John Carter Cash, unico figlio avuto da June Carter, a cui ricorda l’importanza del dono ricevuto. Dono che la madre di Johnny ha riconosciuto subito nella voce del figlio: “Dio ti ha dato un dono, figlio mio. Non te lo dimenticare”. Johnny Cash per tutta la vita ha fatto tesoro di questo consiglio e si è fatto strumento tramite la sua immensa musica.

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