L’uomo in nero scrive un libro sull’Uomo in bianco. Neanche un esperto di marketing avrebbe potuto trovare uno slogan così. Il fatto è che corrisponde al vero, non è una trovata. L’uomo in nero è, naturalmente, Johnny Cash, che vestì sempre quel colore perché, come disse lui stesso nella canzone Man in black, “mi piacerebbe indossare un arcobaleno ogni giorno e dire al mondo che va tutto bene ma finché le cose non andranno meglio, io sono l’uomo in nero”. L’uomo in bianco è invece Gesù. Nero e bianco, male e bene, peccato e redenzione, i temi che hanno sempre ossessionato il leggendario autore di canzoni americano, una vita spinta fino in punto di morte per dipendenza da farmaci e droghe fino all’incontro salvifico con June Carter, che sarebbe diventata sua moglie, tirandolo fuori dall’abisso in cui era sepolto. Grazie alla moglie, arrivò anche la riscoperta della fede. Ma sempre tormentata dal dubbio, una lotta profonda. Perché “convertirsi”, almeno per chi non lo fa in modo superficiale, non significa risolvere tutti i problemi, anzi. C’è una spina conficcata nel nostro cuore, che non ci lascerà mai tranquilli.
Nel 1986 in America Johnny Cash pubblica l’unico romanzo della sua vita, dedicato a San Paolo. Un libro per la cui composizione ci impiegò anni, sia per la fatica di trattare un tale soggetto, sia perché per problemi fisici ricadde di nuovo nell’uso di droghe e anti dolorifici che lo stavano riportando “alla perdizione”. Ma riuscì a uscirne anche questa volta, e a finire il libro che oggi, finalmente, esce anche nel nostro paese (L’uomo in bianco; Piano B editore; 254 pagine, 18,00 euro).
Ottimamente tradotto da Alessandra Goti, la prima cosa che colpisce, oltre al tema, è lo splendido stile letterario di Cash, colto, profondo e per nulla noioso. Cosa che non ci si sarebbe aspettati da qualcuno che a malapena aveva finito le scuole elementari, figlio di povera gente, obbligato a lavorare sin da bambino.
Chi si aspetta un libro di “prediche”, un approccio sentimentalista e borioso, tipico di tanti predicatori americani, non tema. Intervistato dal solito giornalista pedante, quando il librò uscì in America, che cercava di ficcarlo nelle solite etichette (“Sei un cristiano battista? Sei cattolico?”) rispose asciutto: “Sono un semplice cristiano, non appiccarmi un’altra etichetta”.
Cash per scrivere questo libro, racconta lui stesso nell’introduzione, ha fatto un accuratissimo lavoro di ricerche su centinaia di fonti: oltre ai Vangeli ovviamente, antichi testi ebraici, romani, greci. Il punto che lo ossessiona e che voleva affrontare era come si fosse svolta veramente la conversione di quello che era stato uno sterminatore di cristiani. Come cioè si potesse arrivare alla salvezza dopo una vita spesa nel peccato. Un tema che lo interessava personalmente, perché quello lui si considerava: un peccatore che anelava alla redenzione. In fondo, lui era quello che aveva scritto versi come “ho ucciso un uomo solo per vederlo morire”.
Conscio dei suoi limiti e della difficoltà di un’opera del genere, Cash nella brillante introduzione ammette che “qualcuno ha detto che un romanziere religioso finisce per essere ‘il bugiardo di Dio’; ovvero che romanzando le attività e la realtà che stanno intorno a un minuscolo granello di verità le grandi verità possono essere illuminate e messe in moto. Io non sono un romanziere e non pretendo di esserlo (…) In quei pochi versi ho trovato una storia da raccontare, e la storia che racconto intorno a quei pochi versi à la mia storia”.
Nel raccontare la parabola di Paolo di Tarso – gli anni prima di conoscere il cristianesimo, la conversione, la predicazione e la morte – Cash tratteggia anche la sua stessa traiettoria esistenziale: entrambi sono stati folgorati lungo il cammino dalla visione di Dio e ne sono stati salvati, dopo una vita di tormenti e difficoltà. Due personaggi separati da quasi duemila anni di distanza, eppure così simili: passionali, controversi, impetuosi, distruttivi. Due uomini in lotta con la propria «spina nella carne», entrambi illuminati da potenti visioni del divino. Paolo, sulla via di Damasco, incontra l’Uomo in Bianco: “Occhi d’amore. Occhi di dolore. Occhi di comprensione, di compassione. Occhi terribili e magnetici”. Dopo quell’istante diverrà uno dei testimoni più influenti di Gesù, uno dei padri della Chiesa. Cash sogna suo padre, da poco scomparso, e la sua fiamma creativa si accende. Dopo un’esistenza al limite, fra eccessi di ogni tipo che lo spingono all’autodistruzione, Johnny Cash giunge così alla propria personale redenzione: in san Paolo intravede se stesso – e quella possibilità di riscatto che si trova nella vita di ognuno di noi: “Dio può trasformare le nostre ferite e le nostre debolezze a nostro vantaggio”. Alcune spine, molte spine, non vengono mai rimosse. Sono lì, piantate nella nostra carne, per ricordarci che siamo stati fatti per qualcosa di più grande. Una lettura imprenscindibile per chi vuole capire di più dell’uomo in nero.