Mentre in Italia arrivavano le prime 184mila dosi del vaccino Johnson&Johnson, la Food and Drugs Administration, l’agenzia del farmaco americana, ha twittato un allarme inaspettato, raccomandando “una pausa nell’uso di questo vaccino come estrema misura di cautela”. Questo perché in America sei donne di età compresa tra i 18 e i 48 anni hanno sviluppato casi di coaguli di sangue: una di loro è morta, un’altra è ricoverata in gravi condizioni. Va detto che Johnson&Johnson è il vaccino più usato negli Stati Uniti, con oltre sei milioni di vaccinazioni già effettuate.



Ma, come ci ha spiegato il professor Antonio Clavenna, dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, “gli Stati Uniti hanno a disposizione forti quantità di altri vaccini, per cui anche uno stop temporaneo non danneggerà la loro campagna di vaccinazione”. Cosa che invece potrà essere un problema per noi: “Senza Johnson&Johnson avremo problematiche abbastanza importanti, dovremmo cercare di trovare altri vaccini per compensarne la mancanza”.



Ci può spiegare che caratteristiche ha il vaccino Johnson&Johnson? È di tipo vettoriale con adenovirus come AstraZeneca, oppure a mRna come Pfizer e Moderna?

E’ molto simile ad AstraZeneca, utilizza sempre un vettore virale, quello che cambia è il tipo di vettore. AstraZeneca utilizza un adenovirus di scimpanzé, mentre J&J un adenovirus di tipo umano. In entrambi i casi sono virus che vengono resi innocui per l’uomo, perché in laboratorio vengono modificati in modo tale che non possano replicarsi all’interno delle cellule.

Con J&J in America sono state vaccinate più di sei milioni di persone e si sono verificati sei casi problematici: è un problema di piattaforma o è simile al caso AstraZeneca?



La piattaforma è una delle ipotesi che si stanno valutando, è in corso uno studio. E’ possibile un aumento di rischio dovuto alla produzione di anticorpi contro il vettore virale o contro la proteina spike. C’è ancora questo dubbio, però è possibile che ci sia il coinvolgimento del vettore virale.

Coaguli di sangue ed embolia sono problematiche distinte?

I coaguli e l’embolia sono due cose leggermente diverse. Si dice coagulo quando c’è un blocco nel circolo di un vaso sanguigno e quindi una arteria viene ostruita. Se dal coagulo si staccano piccoli frammenti che entrano in circolo e vanno a ostruire vasi più piccoli si parla di embolia. L’embolo, in sostanza, è un piccolo pezzo di coagulo che si stacca dalla sede originaria e va a bloccare un altro vaso distante. Anzi, nei casi in cui si parla di coaguli all’interno del sistema nervoso centrale o addominale, il problema è proprio la formazione del coagulo, non l’embolo.

A proposito dei sei casi negli Stati Uniti, si tratta di persone che soffrivano già di problematiche di salute o può accadere anche a individui sani?

Non lo sappiamo ancora, si sta studiando. Al momento la valutazione dell’Agenzia europea del farmaco non ha identificato fattori di rischio del vaccino. Non sembra che ci siano condizioni di salute da spiegare la comparsa di questi eventi, ma sono valutazioni in corso. Quando i casi sono pochi, è molto difficile fare questo tipo di valutazione, solo con un aumento dei casi cresce la possibilità di capire dal punto di vista clinico se ci sono fattori di rischio.

Però nel caso di AstraZeneca è stato deciso di delimitare l’età delle persone cui somministrare il vaccino. Come mai?

Sì, il discorso in questo caso è che non sappiamo se il rischio sia minore al di sopra di una certa età o se sia maggiore o minore per uomini e donne. In Italia è stato oggetto di discussione. Si è deciso di modificare l’età perché si ritiene che nelle persone al di sopra dei 60 anni ci sia un rischio maggiore di essere colpite in forma grave dal Covid.

E’ quindi stato fatto un bilancio rischi/benefici?

Negli anziani il rischio di Covid è più elevato, meglio quindi utilizzare un vaccino in attesa di capire i rischi. Si preferisce non esporre una popolazione giovane a possibili rischi causati dal vaccino. Nel Regno Unito hanno fatto una valutazione differente, dicendo che anche nei giovani il beneficio del vaccino supera i rischi. Ma queste sono valutazioni che ogni paese fa a modo suo, decidendo magari di bloccarne completamente l’uso, come è successo.

J&J rischia la stessa sorte di AstraZeneca, cioè un vaccino che si porta dietro l’ombra della sfiducia? Se viene a mancare J&J, causa sfiducia e/o carenze di approvvigionamento, questo cosa implica per il nostro piano vaccinale?

Teniamo conto che negli Usa AstraZeneca non è ancora autorizzato, per cui J&J è il vaccino maggiormente usato. Da qui deriva la cautela delle autorità americane di fronte a un segnale di rischio, anche se al momento i casi numericamente sono rari a fronte dei milioni di dosi già iniettate. Ma è comprensibile ci sia grande attenzione. Questo non vuol dire che J&J è pericoloso, tuttavia è giusto che le agenzie americane si muovano con cautela.

Se approvata dall’Aifa, partirà all’Istituto Spallanzani di Roma la sperimentazione per verificare la possibilità di combinare vari vaccini anti-Covid per il richiamo con Pfizer, Moderna e Sputnik, dopo la prima dose di AstraZeneca. Secondo lei, è la strada che dovremo imboccare per far fronte alla mancanza di vaccini?

Non più di tanto. Potrebbe essere una strada per ottenere una maggior efficacia, soprattutto nel caso di una infezione sintomatica o in caso di varianti. Per la campagna vaccinale non sarebbe ottimale, almeno fino a quando non avremo a disposizione maggiori dosi di vaccini. La gran parte delle dosi previste per il nostro paese sono AstraZeneca e J&J, il limite maggiore è dato dalle dosi di Pfizer e di Moderna. Per cui non si può dire quanto possa essere una soluzione, potrebbe avere dei vantaggi per proteggere rispetto alle varianti, né che emerga un vantaggio nel mettere insieme due approcci diversi di vaccini.

(Paolo Vites)

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