Joy Womack, appena quindicenne, lascia l’America e la sua famiglia per volare a Mosca e inseguire il suo sogno. Quello di entrare nell’Accademia russa di balletto del prestigioso teatro Bolshoi. Una sfida impossibile non solo per la qualità delle altre giovani ballerine, ma anche e soprattutto per il fatto di avere passaporto americano, nel tempio della danza russa.



Non ce la fa Joika a uscire dall’area di interesse degli appassionati del genere talent per elevarsi a storia di passione universale, com’era stato, ad esempio per Il cigno nero. E non ce la fa ad allontanarsi dagli stereotipi più volte raccontati dai film sugli eroi che ce la vogliono fare, a tutti i costi.



Joika si nutre della retorica del sogno per insegnarci, se ce n’era bisogno, che per ottenere un obiettivo bisogna dare tutto di sé. E a volte non basta nemmeno.

Per quasi due ore, peraltro coinvolgenti, seguiamo le fatiche fisiche e mentali di una ragazza follemente dedicata al suo obiettivo. Una giovane sognatrice, sottoposta a un bullismo fuori dal tempo, perpetrato senza distinzione da insegnanti e compagne. Un bullismo masochista che appare come necessario (e giustificato), nell’infernale percorso di autoaffermazione. Una corsa di sopravvivenza che miete vittime, lascia segni corporali e sofferenze psicologiche, inevitabili effetti collaterali della volontà di esistere e immaginarsi come una stella della danza.



“La danza è la mia vita” dice Joika, interpretata con vivida convinzione da Talia Ryder, giovane attrice statunitense ancora poco conosciuta. E questa affermazione diventa realtà, lungo un percorso infernale di annullamento e autoflagellazione, che distrugge amicizie e amori, presidiato senza sosta dalla mostruosa e gelida maestra di danza, che ha il volto severo di Diane Kruger. Una Crudelia Demon d’altri tempi o forse, più semplicemente, una sorta di Alessandra Celentano della “fiction” televisiva della De Filippi.

Sullo sfondo di questa storia, ispirata alla realtà, c’è la ruvida politica delle superpotenze, protagonista indiscussa del secolo scorso e rinata, ahimè, negli ultimi anni. È un semplice cenno, una sorta di clima ambientale che si respira nelle stanze dietro al palco, ma che sembra dominare i destini delle persone, in base al passaporto e non al talento.

Una storia vera, con romanzo, che si dibatte sul sottile confine tra il film adolescenziale e il drammone personale.

Un film che scorre via, con discreta intensità emotiva, cercando di strappare empatia allo spettatore, lasciando diversi interrogativi in sospeso e dispensando qua e là altisonanti verità ad effetto.

“Se mai vi risveglierete senza dolore” sentenzia Lady Volkova “allora non sarete mai delle ballerine”. Davvero ne vale la pena?

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