Dopo il grande successo ottenuto al Festival di Toronto, Jojo Rabbit di Taika Waititi ha aperto il Torino Film Festival 37 e possiamo ritenerci più che soddisfatti della scelta della direttrice Emanuela Martini. Tra le opere rivelazione della stagione cinematografica, la commedia nera sul nazismo del regista neozelandese è tratta dal libro Caging Skies di Christine Leunens e racconta la storia del giovane Jojo Betzler (Roman Griffin Davis): grande estimatore del regime nazista e appartenente alla Gioventù hitleriana, il piccolo non vede l’ora di dimostrare di essere un bravo nazista e di rendere orgoglioso Adolf Hitler, suo idolo nonché amico immaginario.



Siamo a Falkenheim – cittadina immaginaria – nella fase finale della Seconda Guerra Mondiale e la vita di Jojo cambia dopo un incidente al campo di addestramento: costretto a restare molto tempo tra le mura domestiche, il ragazzino scopre che sua madre Rosie (Scarlett Johansson) sta nascondendo la giovane ebrea Elsa (Thomasin McKenzie) in un ripostiglio segreto. Aiutato dall’amico immaginario (Taika Waititi), affronterà i suoi dubbi riguardo al nazismo ma non solo…



Figlio di padre maori e madre di discendenza ebraica, Taika Waititi si è assunto una grandissima responsabilità: intraprendere una strada alternativa per raccontare le barbarie del nazismo e di Adolf Hitler, scegliendo la commedia. Jojo Rabbit danza tra satira e dramma ma non solo: per quanto faccia ridere, ci troviamo di fronte a un film che ha cose molto importanti da dire. L’obiettivo di Waititi è quello di coinvolgere la nuova generazione attraverso l’umorismo, così da raccontare ai giovani (e non) l’orribile storia della Seconda guerra mondiale da un punto di vista diverso e più “leggero” rispetto ad altre pellicole. Il cineasta di What We Do In The Shadows guarda a Charlie Chaplin e Mel Brooks, difficile non pensare a Il grande dittatore: messaggi veicolati attraverso black humor, nero come la pece della cultura nazista. E, nonostante le oggettive difficoltà dato il tema trattato, Waititi riesce a fare un passo importante: dopo aver catturato la sua attenzione con risate e siparietti, il regista invita lo spettatore a riflettere su temi forti come il dolore, l’assurdità della violenza e le angherie naziste.



Satira ed emozioni forti in un film fortemente attuale: non sono pochi i richiami al mondo di oggi e alla possibile recrudescenza dell’antisemitismo. Jojo Rabbit è un giovane sottoposto al lavaggio del cervello, non ha mai visto un ebreo in vita sua e sa solo ciò che gli è sancito dall’ideologia nazista. L’ebreo, dunque, rappresenta un vero e proprio mostro, ma l’incontro con Elsa smuove qualcosa in lui: scopre infatti che quella persona che è stato istruito a disprezzare è in realtà un essere umano, come lui. E da questo punto di vista il film sprigiona un forte senso di speranza: il fanatismo e l’odio possono essere superati, l’ignoranza può essere sostituita con l’amore. Senza dimenticare un piccolo particolare: i bambini sono addestrati a odiare, non nascono carichi di cattiveria. Non ci deve essere posto per il disprezzo in questo mondo: messaggio forte e chiaro.

Il giovanissimo Roman Griffin Davis avrà un grande futuro: nonostante la tenera età, sforna una grandissima interpretazione vestendo i panni di un fanciullo innocente e ignaro dell’orrore di cui è capace l’uomo. Brava, come sempre, Scarlett Johansson, mentre Sam Rockwell (Klenzendorf, un singolare capitano SS) si conferma come uno degli attori più sottovalutati di Hollywood. Ma non possiamo non parlare del coraggio di Taika Waititi, che porta sul grande schermo un Adolf Hitler carnevalesco e codardo: il regista neozelandese ha raggiunto l’obiettivo “posto” da Mel Brooks, “se riesci a ridurre Hitler a qualcosa di ridicolo, vinci”.

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