Recentemente il premio Nobel del 2023 per la letteratura Jon Fosse ha raccontato in una lunga conversazione con il teologo Eskil Skjeldal – che prende il via dalla sua recentissima pubblicazione del testo ‘Il mistero della fede‘ – della sua conversione al cristianesimo in un periodo storico in cui professarsi credente sembra essere del tutto simile a quello che nei decenni fa era dirsi ateo: un percorso intrapreso in un momento piuttosto delicato della vita di Jon Fosse visto che tra eccessi e divertimenti era arrivato ad un passo dalla morte a causa dell’abuso di alcool e – non a caso – nella sua conversazione inizia del mettere in chiaro che “mi sentivo vuoto” in preda e in balia di una noia incurabile.



A salvarlo – spiega lo stesso Jon Fosse – è stata l’acquisita consapevolezza che “dove la disperazione raggiunge il limite (..), c’è Dio“; salvo poi precisare che in ogni caso la sua conversazione non è stata solamente un modo per sfuggire dalla disperazione e dal dolore, ma il completarsi di un percorso che ben traspare già nella sua precedente letteratura dato che “nella mia scrittura c’è una sorta di dimensione religiosa o forse, più precisamente, una dimensione mistica” rivendicando – insomma – di essere sempre stato “una persona religiosa”.



Jon Fosse: “Sono cristiano anche contro il conformismo e l’omologazione europea”

Ragionando sul suo singolare percorso, Jon Fosse arriva ad ipotizzare che ormai dichiararsi credente “nella società norvegese” è forse l’atto “più ribelle” che si possa fare tanto da arrivare ad ipotizzare – spiega – che “la gente sarebbe rimasta meno sorpresa se avessi dichiarato di venire da un bordello piuttosto che dalla messa” al punto che due atti così profondamente diversi tra di loro “sembrano ugualmente imbarazzanti”: un atto di ribellione – continua – “contro il corpo e la fissazione sul sesso, l’antispiritualismo, contro il materialismo sociologico positivista” che ignora completamente il fatto che “tanto non puoi correre in cielo, non puoi portarti dietro il corpo [che] marcisce, viene bruciato” e nulla più.



Allargando poi il suo sguardo – comunque – nel precisare che ancora adesso si concede qualche piccolo sgarro, Jon Fosse confessa di fare almeno due volte al giorno uso dello snus, in un altro – vero e proprio – atto di ribellione “visto che all’interno della UE non è permesso venderlo” in quella che definisce una concreta “ingerenza su come debba vivere la gente” frutto di un progetto (appunto, l’Unione europea) che “è antieuropeo” visto che “l’essenza dell’Europa è la diversità, in tutti i sensi, mentre l’UE rappresenta l’omologazione in cui un’autorità centrale decide che la gente non può usare lo snus”; il tutto – conclude – “dettato dal potere del denaro, da decisioni politiche o della burocrazia che mi ripugnano profondamente”.