La Grande Mela, sin da inizio del Novecento, culla della grande musica. Broadway, i musical, i jazz club, e poi i locali del folk revival, il blues, il rock’n’roll. I busker, i musicisti di strada, i locali sporchi della Bowery dove nacque il punk, lo Studio 54, mecca della disco music: “the city that never sleeps”. Oggi New York è una città fantasma, capitale della pandemia che sta provocando strage negli Stati Uniti. Nessuno sa se questa scena musicale, che ha visto le esibizioni di leggende come Miles Davis, Bob Dylan, Jimi Hendrix, tornerà mai come era. Una perdita umana e culturale indicibile. Jonathan Fields, chitarrista blues e jazz, autore di colonne sonore e jingle pubblicitari, nato a Brooklyn, ha visto fiorire ancora bambino uno dei momenti più eccitanti, tra la fine degli 60 e l’inizio dei 70, di New York. Ce lo racconta in questa intervista, spiegandoci che forse la tragedia del coronavirus porterà alla rinascita della vera anima musicale di questa città, negli ultimi anni dispersa: “ Dovrebbe essere il momento di cercare la voce autentica della musica da cui forse ci siamo distratti. Possiamo tornare alle domande originali su ciò che rende la musica davvero significativa”.
Sei cresciuto nella New York di inizio anni 70, allora al centro di una scena musicale esplosiva, dove si esibivano quelle che sono diventate autentiche leggende musical, dal rock al blues al jazz al folk. Quanto questa scena ti ha influenzato, e che cosa significava per un ragazzo di allora?
Sono stato molto fortunato a crescere immerso in quella cultura. Mia zia e il suo ragazzo erano hippy. Entrambi suonavano la chitarra. Ricordo di aver imparato a suonare Freight Train di Elizabeth Cotton e The Last Time degli Stones, da loro. Sentire quel riff di apertura dei Rolling Stones mi lasciò senza fiato. Avevo 9 anni. Inoltre, venivo da una famiglia politicamente di sinistra. Andavamo in vacanza insieme ad altre famiglie e facevamo serate di canti folk dove suonavamo Dylan, Arlo Guthrie, spirituals collegati ai diritti civili e ai movimenti contro la guerra. Ero molto giovane, quindi non capivo molto. Ma da ciò ho capito che la musica riguardava qualcosa di ancora più grande della musica stessa, aveva qualcosa che esprimeva ribellione, libertà e senso di comunità. Un mio vecchio amico che divenne un noto giornalista rock, Andy Schwartz, divenne il mio mentore. Mi fece conoscere tutti gli album importanti dal 1967 al 1970. Ma soprattutto mi ha portato a vedere le band al Fillmore East al Village. Credo che fossi il più giovane di tutti. Ho visto molti artisti, Chuck Berry, Buddy Guy, The Jefferson Airplane. Tuttavia, quando ho visto Johnny Winter uscire e suonare con il suo trio che incendiava quei bollenti blues alla slide, ho deciso che sarei diventato un grande chitarrista. Rimasi incantato dall’intensità, potenza, abilità e passione pura che proveniva dalle dita di quell’albino del Texas. Andy Schwartz mi diede il disco di John Mayall e i Bluesbreakers con Eric Clapton. Ogni assolo di chitarra era un gioiello perfetto e li ho imparati ognuno nota per nota. Potevi rallentare il giradischi a metà velocità per capire i riff davvero difficili. Jeff Beck e Hendrix erano anche loro i miei dei della chitarra e hanno praticamente attirato la mia attenzione fino a quando Duane Allman e Dickie Betts della Allman Brothers Band mi hanno catturato con il loro stile americano. Hai ragione, la zona di New York è stata un epicentro in cui un ragazzino poteva quasi imparare questa nuova cultura e musica dall’aria che si respirava.
Hai continuato a interessarti di musica anche al liceo? Quando hai messo su la tua prima band?
Ai tempi del liceo venivano a suonare in palestra artisti come Leslie West, Mountain e Peter Frampton. Ho suonato nella big band jazz del liceo e David Spinozza, che era della mia città natale, venne a tenerci un seminario: era il chitarrista e produttore di Paul McCartney e Paul Simon.
Quando hai cominciato a suonare a tempo pieno?
Ho avuto una band a partire dalla quinta elementare. Ma al liceo suonavo in un power trio e ci fermavamo molti pomeriggi dopo la scuola a suonare. Ho imparato così tanto in quella band: jamming e improvvisazione. Alla fine abbiamo iniziato a suonare a pagamento in sale da ballo e concerti. Mio padre adorava il jazz, Miles e Bill Evans e Oscar Peterson, ma non me ne sono accorto fino agli anni ’70, dopo che la prima ondata di rock e folk radicale si concluse con lo scioglimento dei Beatles e dei Cream, la morte di Hendrix e la scomparsa dalle scene di Bob Dylan.
E’ stato in questo periodo che hai cominciato a studiare chitarra? Che cosa ti ha spinto? Era una passione momentanea o avevi già deciso sarebbe diventata la tua professione?
La risposta precedente fa riferimento a questo. Suonare la chitarra è iniziato come una passione momentanea ma mi dedicavo almeno un’ora al giorno all’apprendimento degli assoli e alla pratica. Comunque mio padre mi ha spinto a diventare un musicista. Avevo anche un grande insegnante al liceo che guidava la big band e mi ha spinto ad imparare in modo più serio. Ho iniziato a studiare jazz e chitarra classica. Ho anche iniziato a studiare la teoria della musica. I miei insegnanti sono stati molto incoraggianti a perseguire una carriera. C’è stato un evento durante questo periodo che mi ha aperto gli occhi su ciò che sarebbe divenuto il mio futuro. Nel 1972 un nuovo chitarrista esplose nella scena rock. Era Mahavishnu John McLaughlin. Rimasi colpito da lui, sono andato praticamente a tutti i concerti che teneva a New York. Ebbi modo di conoscere il suo tecnico del suono e lo pregai di presentarmi a lui. Ci riuscì. Gli chiesi ingenuamente come fosse diventato così grande. Rispose un po’ come fece Gesù al giovane ricco. Mi disse che aveva venduto tutte le sue chitarre per comprare un biglietto per venire a New York. Mi guardò profondamente negli occhi, sfidandomi a vedere quale fosse il mio livello di dedizione. Suppongo che abbia visto che non ero pronto per un tale impegno. Me ne sono andato triste con la paura che i miei sogni di essere un musicista fossero solo questo, un sogno, e se dovevo perseguire tutto questo mi sarebbe costato molto di più di quello che mi ero aspettato.
Tra le tante forme di espressione dell’uomo, la musica gioca un ruolo particolare. E’ in grado di muovere le più profonde emozioni del cuore dell’uomo. Esprime tristezza, malinconia, gioia, desiderio, sconfitte e speranza. Cosa significa per te?
Ho sempre avuto difficoltà con i sentimenti. Mi sembravano così travolgenti e troppo profondi. La musica era l’unica lingua in grado di esprimere questa profondità che mi faceva sentire non minacciato dalla sensibilità che provavo. Penso che questo sia vero per tutti, specialmente per i giovani. La musica è un linguaggio che esprime la parte più profonda di ciò che siamo e ha un dono speciale per entrare nel nostro dolore e trasformarlo in speranza. I miei 20 anni sono stati particolarmente difficili. Ci sono stati album essenziali che ho suonato più e più volte come colonna sonora della mia vita in quel periodo. Mia madre e io abbiamo avuto una discussione durata del tempo su quale sia la più alta forma d’arte. Un giorno mi ha chiamato e ha detto che la musica era la più alta perché è l’unica forma d’arte che può riunire tutti in un istante. Si collega immediatamente! Un newyorchese lo sperimenta vedendo folle di persone di tutte le razze condividere un bellissimo momento ascoltando un grande artista di strada nel mezzo del trambusto e del caos e del dolore della vita cittadina. Potrei anche aggiungere che amo il ritmo e la danza, elementi vitali della musica che esprimono celebrazione e gioia. Essendo americano, almeno quando ero un bambino la musica era intrisa di ritmo e anima che ti infettavano. Era la musica di un popolo in movimento!
Il grande bluesman John Lee Hooker si definiva un guaritore, “the healer”. Van Morrison ha scritto una canzone intitolata “la guarigione è cominciata, “And the Healing Has Begun”. Per Bob Dylan, le canzoni sono la sua religione. La musica è una forma di guarigione spirituale? Molti studiosi affermano che quando l’universo si è formato, dagli astri scaturiva una musica che è rimasta in modo inconscio nel nostro io e a cui cerchiamo con nostalgia di risalire. Che ne pensi?
Mi viene in mente un video che ho visto di recente del Gospel College, Oakwood Aeolians Choir. È una versione di “We Shall Overcome”. Si inizia con un tono cupo ed esplode in un’affermazione che “nel profondo del mio cuore credo che un giorno dovremo vincere”. Questo spiritual è stato un canto iconico durante il movimento per i diritti civili e tocca un nuovo livello di fronte al Virus Corona. La musica americana discende dalla tradizione degli “spiritual” che cantano di una speranza profonda e del bisogno di salvezza tra le prove della schiavitù. Penso che tutti abbiamo questo bisogno di salvezza e di sollievo dalla sofferenza e della necessità di essere liberi. Per quanto riguarda la musica delle sfere, ne sono venuto a conoscenza quando ho sentito il lento movimento della sinfonia in sol minore di Mozart. Esprimeva questa “nostalgia” per un bellissimo ordine nel cuore del cosmo.
Hai lavorato per tanti anni con il grande compositore recentemente scomparso, David Horowitz. Che esperienza è stata? Cosa hai imparato di più?
C’è un’immagine di David inscritta nel mio cuore. Quando si bloccava nella composizione, lasciava il suo ufficio e andava al pianoforte nell’atrio. Esplorava sempre le melodie e le armonie del brano “Round Midnight” di Thelonious Monk in queste situazioni. Lo ascoltavo perché questi accordi e note lo aprivano a un mondo di possibilità illimitate. Penso che questi siano stati alcuni dei momenti più intensi di musica che abbia mai vissuto. Una volta, dopo aver riflettuto su questa melodia, si sdraiò vicino al divano per un po’, poi saltò su, tornò al piano e improvvisò il nuovo jingle per la Delta Airlines. Fu venduto il giorno successivo, e divenne il tema di Delta per gli anni successivi. La musica per lui è sempre stata un luogo di scoperta, in attesa che accadesse l’inaspettato. Monk lo ha aiutato molto in questo!
Quale è il tuo momento musicale, un concerto o un disco, di cui sei più orgoglioso, quello in cui pensi di aver raggiunto il massimo della tua espressività?
Immagino il primo momento in cui ho ascoltato la mia musica eseguita dai migliori musicisti di New York per uno spot per IBM. David mi aveva lasciato lavorare da solo per la prima volta. La musica era estremamente derivata dallo stile di David con alcune cose che alla fine sarebbero diventate il mio stile. Il mio cuore batteva così forte quando ho sentito le sonorità riunirsi e la chiarezza del pensiero si è sviluppata. Non potevo credere che avrei mai potuto fare qualcosa del genere. Sono quasi svenuto. David rimase colpito e mi lanciò una specie di sguardo invidioso come se avesse desiderato poterlo scrivere! Ricordo di aver avuto un momento simile quando ho composto il mio primo jingle dopo aver lasciato la David Horowitz Music. Sembra sempre una cosa sorprendente che qualcosa di buono possa venire attraverso di me. Ma in qualche modo succede. Devi continuare a scrivere e suonare musica ovunque e per chiunque.
Hai lavorato alle musiche della mostra e anche spettacolo teatrale Bubbles, pioneers, and the girl from Hong Kong, un’opera straordinaria che esprime al meglio cosa significhi essere americani: che esperienza è stata?
E’ stato un lavoro collaborativo molto sperimentale a cui ero molto orgoglioso di partecipare. Ci sono stati input da storici, poeti, filosofi e artisti per cercare di esplorare l’esperienza americana sia contemporanea che storica, la musica è stata composta da me e da Chris Vath. C’è stato un momento dell’esibizione durante una esibizione al New York Encounter in cui avevamo esaminato le lettere che descrivevano la solitudine dei pionieri di fronte all’infinito paesaggio grezzo, la solitudine di Buzz Aldrin al ritorno dal suo storico viaggio sulla luna e le tragiche e terribili rappresentazioni della schiavitù e del terrore dell’11 settembre. Nella scena finale c’è un momento in cui il protagonista decide di affermare la vita e cambiare dai suoi giorni di ribellione e violenza all’interno di una gang di Los Angeles. In quel momento viene ricapitolato il tema di speranza alla Copland che si ascolta per la prima volta nella scena iniziale con i pionieri. Ci fu un momento di silenzio mentre salivo sul podio per condurre il tema. Quel momento di silenzio era così pieno di aspettative. Lasciai che l’attimo indugiasse mentre sentivo il pubblico sugli spilli. Sapevo che le prossime note in aumento avrebbero dato un inevitabile momento meraviglioso. Non provavo musica come questa da molto tempo.
Come vive un musicista questo tempo di coronavirus?
Questo è un momento molto incerto per i musicisti. Non ci sono locali che fanno musica dal vivo. Non c’è davvero nessun business musicale. Sebbene la vita di un musicista sia abbastanza instabile in termini di vita, questo momento è estremo. Conosco un giovane musicista di talento che vede la sua carriera e i sogni infranti. Fa concerti in streaming di un’ora sperando che la gente versi qualche soldo. Sta anche imparando a registrare e vendere tracce di chitarra per vari produttori. Ma questo è estremamente frammentario. Penso che i musicisti debbano sapere di essere accompagnati e aiutati dai loro colleghi e amici per vedere quali opportunità sono reali e per aiutarli ad adattarsi. Inoltre, dovrebbe essere il momento di cercare la voce autentica della musica da cui forse ci siamo distratti. Possiamo tornare alle domande originali su ciò che rende la musica davvero significativa. In questo sono stato aiutato da mia figlia Elizabeth. Sta studiando danza moderna al college. Ha coreografato una delle composizioni di David Horowitz.