Roberto Jucci, a 98 anni, ripercorre il caso Aldo Moro in una intervista a Repubblica, ammettendo che avrebbe voluto fare di più per evitare che il sequestro si concludesse con la morte del fondatore di Democrazia Cristiana. “Allora ero solo un generale, ma per la mia esperienza internazionale quando si trattava di risolvere una questione delicata, ad esempio in Libia all’indomani del golpe di Gheddafi, o aprire un canale riservato di trattativa tra Stati Uniti e Cina negli anni Settanta, mi chiamavano. Nel 1978 ero capo del Secondo reparto dello Stato Maggiore dell’Esercito che si occupava di sicurezza, più spesso noto con la sigla Sios”, ha ricordato.
Nonostante ciò, non venne chiamato in causa per avere un ruolo primario nella trattativa per il rilascio. “Il Ministro dell’Interno Francesco Cossiga mi chiese di creare un reparto dell’Esercito che potesse intervenire per liberare Aldo Moro quando fosse stata individuata la sua prigione. Dovevano operare con una precisione millimetrica per non rischiare la vita dell’ostaggio. Mi diede una settimana di tempo”. Ed è ciò che fece, ma quegli incursori non agirono mai. “Non avevo capito che venivo strumentalizzato”.
Jucci: “Su Moro non capii di essere strumentalizzato”. La ricostruzione
Il vero obiettivo, secondo Roberto Jucci, non è mai stato quello di avere un gruppo di incursori esperti per liberare Aldo Moro. “Nessuno mi ha mai parlato di quello di cui discuteva il Comitato che gestiva le indagini. A Cossiga dissero di fare questo reparto ma non so se lo fecero per togliermi fuori dal campo a Roma. Perché io così passai praticamente tutti i giorni del rapimento in Toscana nella tenuta di San Rossore per predisporre questa squadra che non è mai entrata in azione. Mi tolsero di mezzo. E non so se questo fu fatto apposta. Perché allora gran parte dei vertici delle Istituzioni militari erano della P2”, ha ipotizzato.
Di quanto accadde, però, non dà le colpe all’allora Ministro dell’Interno. “Certamente ha agito in buona fede nell’assegnarmi quel compito perché lui ci teneva tanto che nella liberazione Aldo Moro non venisse colpito. Lui non sapeva che questo reparto non sarebbe mai entrato in azione. Ma voleva arrivare alla liberazione, voleva assolutamente salvarlo: su questo non ho dubbi. Dopo diventò un’ossessione. Diede le dimissioni e scomparve, si chiuse in casa. Lo andai a trovare più volte. Mi guardava muto per molti minuti. Poi mi diceva: Forse potevo fare di più. Ha segnato la sua vita”, ha concluso.