Julian Assange si salva per ora dall’estradizione negli Usa. In realtà, ottiene il diritto di provare a rinviarla, perché l’Alta Corte di Londra ha accolto la richiesta avanzata dal fondatore di WikiLeaks, sostenendo che gli Stati Uniti devono fornire più garanzie. Dal 2018 i pm americani stanno provando a mettere sotto processo Assange per 18 capi d’accusa, a parte uno ai sensi dell’Espionage Act, per la pubblicazione di documenti militari Usa riservati e cavi diplomatici. Il rischio per l’hacker australiano è di essere condannato fino a 175 anni di carcere. Invece, i legali a febbraio hanno chiesto di appellarsi alla Corte contro l’estradizione, in quanto motivata da fattori politici.
Assange – detenuto dal 2019 nel carcere di Belmarsh, prigione di massima sicurezza britannica – per la moglie Stella Moris e i suoi legali è a rischio di morte e potrebbe suicidarsi. Nella sentenza odierna, i due giudici Victoria Sharp e Jeremy Johnson danno alle autorità Usa l’opportunità di dare garantire «assicurazioni soddisfacenti» in particolare sul Primo Emendamento degli Stati Uniti, quindi sulla libertà di stampa, e sull’applicazione della pena di morte, visto che teoricamente Assange è imputato di reati che prevedono la pena di morte. Se Assange non ricevesse queste assicurazioni, avrebbe il permesso di appellarsi. Un’altra udienza è in programma il 20 maggio.
ESTRADIZIONE ASSANGE: LA DECISIONE DELL’ALTA CORTE UK
Per gli Stati Uniti le rivelazioni di WikiLeaks hanno messo a rischio la vita dei loro agenti. Invece, i sostenitori di Julian Assange ritengono che sia un eroe anti-establishment perseguitato, perché da giornalista ha messo a nudo gli illeciti americani e i presunti crimini di guerra diffondendo documenti riservati del Pentagono e del Dipartimento di Stato. Il fondatore di WikiLeaks è accusato dai procuratori americani anche di aver pubblicato «indiscriminatamente e consapevolmente» i nomi delle fonti e non le sue opinioni politiche.
Ora arriva la decisione dell’Alta Corte di Londra che gli dà una carta da giocare per provare a sfuggire alla contestata estradizione negli Usa, che gli danno la caccia da quasi 15 anni. Servirà altro tempo per conoscere la sorte di Assange. Nei giorni scorsi il Wall Street Journal aveva pubblicato rivelazioni in base alle quali sarebbe stato raggiunto un accordo tra i difensori di Assange e il Dipartimento di Giustizia Usa, un patteggiamento incentrato su una dichiarazione di colpevolezza del giornalista per un reato meno grave. Ma l’intesa, che poteva spianargli la strada verso la libertà, al momento non si è concretizzata.
“NEL 2010 L’ESERCITO USA PIANIFICÒ DI ARRESTARE ASSANGE”
Nelle ultime ore è emerso un retroscena: un documento esclusivo, di cui parla il Fatto Quotidiano, rivela che le autorità americane pianificavano di arrestare Julian Assange alla frontiera degli Stati Uniti nel luglio 2010, prima che WikiLeaks svelasse i documenti segreti sulla guerra in Afghanistan. Dopo una battaglia legale col Freedom of Information Act (Foia), contro il Dipartimento di Stato americano, si scopre cos’è successo in quei mesi, quando WikiLeaks pubblicava i file segreti del governo americano. Era stato arruolato almeno un informatore per spiare le conversazioni su WikiLeaks a una famosa conferenza di hacker a New York, “Hackers On Planet Earth (Hope)“, a cui Assange era stato invitato. Quell’anno si teneva tra il 16 e 18 luglio, una settimana prima che WikiLeaks pubblicasse gli Afghan War Logs. “La Divisione indagini penali dell’esercito degli Stati Uniti potrebbe tentare di detenere Assange alla frontiera del Canada/New York se riesce a ottenere informazioni sul suo arrivo“.
Ma Assange non si presentò: al suo posto andò il giornalista esperto di sicurezza informatica Jacob Appelbaum. Al termine della conferenza, volò in Europa, al suo ritorno negli Usa fu fermato in aeroporto e interrogato. L’incontro di New York, comunque, era un evento pubblico, eppure i documenti ottenuti dal Fatto rivelano che “la Divisione indagini penali dell’esercito degli Stati Uniti ha una persona che collabora e che ha acconsentito a indossare un microfono, mentre attende la conferenza Hope“. Interpellato dal Fatto, il direttore di WikiLeaks Kristinn Hrafnsson dichiara: “È veramente preoccupante che Julian fosse nel mirino degli Usa così presto. Dimostra la determinazione dell’amministrazione americana a sof- focare il giornalismo quando le fa comodo“.