Julian Assange ha una nuova chance. L’Alta Corte di Londra ha concesso al giornalista un ulteriore appello contro l’estradizione negli Usa: non sarebbero infatti infondate le argomentazioni della difesa del fondatore di WikiLeaks sul fatto che negli Stati Uniti potrebbe avere un processo non giusto ed equo. I giudici hanno così deciso di concedere all’attivista un nuovo ricorso contro la procedura di estradizione negli Usa. Se dovesse essere giudicato oltreoceano, il giornalista rischia una condanna a 175 anni di carcere per aver diffuso documenti riservati del Pentagono e del Dipartimento di Stato.
I documenti secretati dei quali WikiLeaks è entrato in possesso e che sono stati resi pubblici, conterrebbero rivelazioni che gli Stati Uniti avevano interesse a far rimanere segreti, inclusi crimini di guerra commessi fra Afghanistan e Iraq. Per questo gli Usa ne hanno chiesto l’estradizione dall’Inghilterra, dove è incarcerato dal 2019. L’ONU ha più volte preso posizione chiedendo la liberazione dell’attivista, che non è avvenuta. Si sono susseguite poi una serie di udienza con richiesta da parte degli Stati Uniti della “testa” di Julian Assange.
Ricorso Julian Assange, non convincono rassicurazioni Usa
Dopo la concessione del nuovo appello, Julian Assange avrà modo di difendersi ancora nel Regno Unito chiedendo di non essere estradato negli Stati Uniti. Lo scorso 26 marzo i giudici britannici avevano concesso una speranza al fondatore di WikiLeaks, ribaltando il “no” che era stato pronunciato in prima istanza all’ammissibilità di un appello da parte della difesa di Julian Assange. La decisione dei giudici d’appello Victoria Sharp e Jeremy Johnson non assume decisioni in merito al ricorso, che sarà invece discusso più avanti, come spiega l’Ansa.
Come spiega la BBC, in attesa del nuovo processo, Julian Assange rimarrà ancora all’interno del carcere di massima sicurezza londinese di Belmarsh. I suoi avvocati invece saranno chiamati a preparare nuovamente la strategia di difesa per far sì che venga negata l’estradizione al loro assistito, che teme per la propria vita negli Stati Uniti. Sono arrivate, da parte degli Usa, rassicurazioni sul fatto che il giornalista avrebbe un processo equo e che non rischierebbe la pena di morte, ma non hanno convinto i giudici britannici che hanno così accettato il ricorso.