Kamala Harris, nella storia degli Stati Uniti d’America, vi entrerà anche nel caso in cui Joe Biden non dovesse riuscire nell’impresa di battere Donald Trump, portandola con sé alla Casa Bianca in qualità di vicepresidente. D’altronde nessuna donna non bianca, prima di lei, era stata candidata alla vicepresidenza; e Harris è soltanto la terza donna in generale ad essere scelta come “running mate“. Ora però c’è da sfatare un nuovo tabù: riuscire a farsi eleggere. Quanto non riuscì alla prima donna candidata per questa posizione, la deputata italo-americana Geraldine Ferraro, che nel 1984 fece parte del ‘ticket’ dem guidato da Walter Mondale, e a Sarah Palin, l’ex governatrice dell’Alaska che nel 2008 affiancò John McCain, salvo essere sconfitta dall’accoppiata Obama-Biden. In caso di vittoria dei Democratici, sono in tanti a vedere per Kamala Harris un destino simile a quello dell’attuale candidato alla presidenza Joe Biden: una “gavetta” da vice per poi puntare dritto allo Studio Ovale…



KAMALA HARRIS: TROPPO CONSERVATRICE O TROPPO PROGRESSISTA?

Il profilo di Kamala Harris è a dir poco “presidenziale”: senatrice della California, già procuratrice distrettuale di San Francisco e poi procuratrice generale della California, la candidata alla vicepresidenza di Joe Biden è uno degli astri nascenti più promettenti della galassia democratica. Il suo operato da procuratrice distrettuale a San Francisco la fece apprezzare dall’elettorato “dem” come uno dei magistrati più progressisti in circolazione, caratteristica che nel 2010, quando si candidò a procuratrice generale della California (la carica negli Usa è elettiva), le valse endorsement importanti come quelli (tra gli altri) della speaker della Camera, Nancy Pelosi. Risultato: Harris vinse diventando la prima donna di colore ad occupare quella posizione. Le sue posizioni da magistrato sono le stesse che le hanno attirato critiche di matrice opposta da parte dell’ala più radicale dello stesso Partito Democratico – quella incarnata, per intenderci, da Bernie Sanders e Alexandra Ocasio-Cortez – e contemporaneamente da Donald Trump. I primi le hanno imputato di non essersi spesa sufficientemente per riformare temi come la polizia o lo spaccio di droga; il presidente l’ha invece accusata (con qualche difficoltà visti i trascorsi di Harris) di avere posizioni di estrema sinistra su temi come sicurezza e tasse. Insomma: Harris per qualcuno è troppo conservatrice, per altri è troppo progressista…



KAMALA HARRIS: UN PRESENTE DA VICE PENSANDO ALLA CASA BIANCA?

Quando Kamala Harris è stata indicata da Joe Biden come vicepresidente c’era la sensazione che la 55enne, figlia di una biologa indiana e di un economista giamaicano, potesse prendersi fin da subito la scena a discapito del candidato alla Casa Bianca. Gli strateghi della campagna democratica hanno però pensato che mettere in luce una figura dall’indubbio carisma come quella di Harris potesse sortire anche un effetto negativo: rischiare di far passare il 77enne Biden come un “candidato di passaggio“. Attenzione, in caso di vittoria democratica, è molto probabile che Biden finisca per essere quello che in gergo viene chiamato “one-term president“, un presidente in carica per un solo mandato. Il prossimo 20 novembre, infatti, Biden compirà 78 anni: ciò significa che alle elezioni del 2024 ne avrà 82. Forse troppi per pensare di risultare una scelta credibile come guida della superpotenza mondiale per antonomasia. A quel punto ecco che quattro anni da vicepresidente potrebbero rappresentare per Kamala Harris il miglior biglietto da visita in vista di una corsa alla Casa Bianca. Anche all’interno dello stesso Partito Democratico, con un “dopo-Obama” caratterizzato da una latente carenza di leadership, risulterebbe complicato tentare di scalzare una personalità di questo livello e con questo background. D’altronde Kamala Harris è considerata dall’establishment pronta “già adesso” per guidare l’America: l’età avanzata di Biden, infatti, al momento della nomina del “running mate” ha imposto di considerare tra i requisiti delle papabili (era stato chiarito fin da subito che si sarebbe trattato di una donna) anche quelli necessari ad assicurare che la prescelta fosse in grado fin da subito di prendere le redini del Paese in caso di impedimento (tradotto: morte) del presidente. Da qui ai prossimi anni, insomma, Kamala Harris potrebbe essere la nuova leader del Partito Democratico americano. Ma tutto, il destino dell’America come il suo futuro personale, passa inderogabilmente da questo strano, impronosticabile, sconvolgente 2020.

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