CHI È KAMALA HARRIS, LA NUOVA CANDIDATA DEM PER LA CASA BIANCA DOPO IL RITIRO DI BIDEN
«Potrai essere la prima, ma assicurati di non essere l’ultima»: Kamala Harris ha scelto questa frase come suo motto fin dalla prima campagna elettorale per le Elezioni Presidenziali Usa. Rileggendo la sua storia negli ultimi 4 anni, oltre a capire chi è realmente oggi la (possibile) candidata Dem alla Casa Bianca dopo il ritiro di Joe Biden, quella frase potrebbe tornare comoda: potrà essere la prima presidente donna degli Stati Uniti d’America, ma se proseguirà la spaccatura interna al Partito Democratico ecco che rapidamente potrebbe “trasformarsi” nell’ultima della classe.
59 anni, Kamala Harris è nata a Oakland in California (e non in India o in Giamaica, di cui pure ha origini rispettivamente per la madre e il padre), è un avvocato sposata dal 2015 con un collega di religione ebraica, Douglas Emhoff: la vicepresidente degli Usa è appartenente di origine alla chiesa battista afroamericana, ma è educata con la cultura induista e ha abbracciato parte dell’ebraismo. Il primo incarico importante della donna che divide ancora il Partito Democratico in queste ore sulla sua candidatura è stato il ruolo di vice procuratrice distrettuale della Contea di Alameda, dal 1990 al 1998: in seguito, Harris è stata anche procuratrice distrettuale della California per due mandati consecutivi fino al 2017, guadagnandosi la fama di legale energica e in grado di bucare lo schermo con la parlantina e il sorriso sempre stampato. Nel 2020 amala Harris ha così sfidato Biden e Sanders alle Primarie Dem, perdendo quasi subito la spinta iniziale e trovandosi a litigare con lo stesso attuale Presidente Usa in più dibattiti.
LE POSIZIONI DI KAMALA HARRIS SU GUERRA, CLIMA E ABORTO
Kamala Harris è stata comunque scelta da Biden per il ruolo delicato di vicepresidente e n.2 della Casa Bianca, con l’ipotesi iniziale del board Dem di fare esperienza per poi essere lei la candidata alle Presidenziali 2024, vista l’età avanzata del Presidente: così non è stato, almeno non fino alla notte di ieri, proprio in quanto i sondaggi e gli apprezzamenti sull’operato della ex procuratrice non hanno mai raggiunti livelli standard accettabili. Resta una politica con idee programmi alquanto decisi, forse ancora più di Biden, anche se non rappresenta l’ala più “a sinistra” del partito, quanto piuttosto una collocazione più energica e meno improntata ai temi puramente “liberal”.
«L’Ucraina ha bisogno del nostro sostegno e noi dobbiamo darglielo»: così, netta, Kamala Harris in merito alla guerra contro la Russia di Putin, mentre è più polemica contro Israele nella gestione della battaglia sulla Striscia di Gaza, «troppi palestinesi innocenti sono stati uccisi: siamo stati molto chiari sul fatto che Israele, il popolo israeliano e i palestinesi hanno diritto alla stessa dose di sicurezza e dignità». Profondamente convinta della “battaglia” sul clima, la possibile prossima candidata alla convention dem (sempre che l’intero board del partito dia il proprio consenso, tutt’altro che scontato viste le evoluzioni soprattutto in “casa” Obama) intende espandere in maniera drastica «la produzione di energia solare ed eolica, per ridurre i costi energetici per le famiglie lavoratrici». Esattamente come Biden, ma in maniera ancora più “spinta”, Kamala Harris è forte oppositrice della sentenza della Corte Suprema che ha tolto il diritto in Costituzione Usa dell’aborto: «ogni persona di qualsiasi genere dovrebbe capire che se una libertà così fondamentale come il diritto di prendere decisioni sul proprio corpo può essere persa, bisogna essere consapevoli di quali altre libertà potrebbero essere in gioco», il suo commento sul tema durante la campagna elettorale di Biden.
KAMALA HARRIS E LE POLEMICHE PER LA GESTIONE MIGRANTI E L’IDEOLOGIA WOKE
Sebbene la donna in lizza per la nomination alla Casa Bianca “sconti” il peso di 4 anni di gestione Biden che tutto si può dire tranne che abbia lasciato un’America e un mondo migliore rispetto a prima (non sempre per demeriti suoi, va riconosciuto), non sono mancate le polemiche su Kamala Harris per le sue azioni e per le scelte prese su diversi temi, dalla gestione dei migranti fino al capitolo sui “diritti LGBTQ+”. Dopo aver seguito da vicino i dossier sulla giustizia penale, l’immigrazione e l’assistenza sanitaria, Kamala Harris è stata ritenuta la principale responsabile della disastrosa gestione del confine tra Usa e Messico, dossier tutt’altro che concluso fin dalla Presidenza Trump.
Sondaggi e consensi sono scesi dopo le non decisioni sulla gestione migranti alla frontiera e nella campagna elettorale di Biden già era stato attaccato per quanto fatto da Harris nel suo ruolo di vicepresidente a tutti gli effetti: «siamo una nazione di immigrati: sappiamo che in America la diversità è la nostra forza. Quindi, piuttosto che politicizzare questo problema, affrontiamolo tutti con l’urgenza e la serietà che richiede», è la risposta data dalla candidata in pectore del Partito Democratico, non esattamente “definitiva” nei risultati ottenuti finora. Riaffiora oggi dopo il ritiro di Biden anche una vecchia polemica esplosa nel luglio 2022 quando la vicepresidente in una riunione alla Casa Bianca con i leader nazionali per le disabilità si presentò con i “pronomi d’ordinanza” («Sono Kamala Harris, i miei pronomi sono lei e lei») e addirittura dovendo specificare «sono una donna seduta al tavolo che indossa un abito blu». La “genuflessione” al linguaggio inclusivo, con limite molto labile con l’ideologia woke, scatenò polemiche a non finire per una donna che ora punta a parlare all’intera comunità americana, non solo quella “radical-liberal” in salsa arcobaleno.