DA OBAMA AI NETWORK FINO AGLI SCRITTORI: “ELETTORI MASCHI NON VOTANO KAMALA HARRIS PERCHÈ SESSISTI”
Lo ammettiamo, nel leggere le parole usate dal bravo scrittore Percival Everett oggi su “La Stampa” (nella lunga intervista sulle imminenti Elezioni Usa 2024) siamo sobbalzati: l’autore che ha da poco fatto “rivivere” in romanzo il punto di vista dello schiavo Jim nella celeberrima storia di Huckleberry Finn, dice in maniera schietta che il voto degli afroamericani non sarà mai un problema per i Democratici, semmai il problema per Kamala Harris è il sessismo.
Secondo lo scrittore americano, in sostanza, non vi è molta possibilità che l’elettorato maschile afroamericano possa realmente spostarsi di netto su Trump – come invece suggeriscono diversi sondaggi “trasversali” in queste ultime settimane di campagna elettorale, e come confermerebbe l’assillante richiamo di Barack Obama alla comunità “black” per un voto convinto per la candidata Dem: semmai, se qualche supporto verrà a mancare, «riguarderà le persone a bassa scolarizzazione che hanno una sorta di paura culturale delle donne». Per Everett la cultura sessista tanto “afro” quanto “bianca” sarebbe il vero problema per Kamala: come a dire, alla fine vincerà Harris ma se non riuscirà sarà per colpa di un pregiudizio sessista contro il suo essere donna.
SESSISMO, RAZZISMO O PROBLEMA DI PROPOSTE? LA “NARRAZIONE” SU HARRIS AD UNA SETTIMANA DAL VOTO
Del resto lo stesso ex Presidente Obama da giorni “martella” sui social e nei comizi spiegando all’elettorato che lo ha portato a vincere due volte la corsa alla Casa Bianca «tutti i vostri dubbi vengono dal fatto che Kamala Harris è una donna», mentre invece andrebbe appoggiata e votata. Solo in quanto donna e solo in quanto afroamericana, verrebbe da aggiungere se si completa logicamente il “sillogismo” obamiano: al di là di pensare un secondo cosa sarebbe successo che, al contrario, un grande ex Prescindere repubblicano avesse invitato l’elettorato bianco americano a votare in blocco Donald Trump proprio in quanto “candidato bianco e uomo”.
Il tema posto da Everett e che trova sui network pro-Dem, negli atenei liberal e nei movimenti in stile Black Lives Matters un ingente approvazione, ci sembra l’esatto opposto di un serio dibattito democratico, politico e culturale. Il calo nei sondaggi e nei consensi della candidata Dem avrebbe forse più spiegato sui programmi presentati, il poco distanziamento dall’agenda Biden (di cui è stata per 4 anni vicepresidente), la situazione internazionale, la crisi economica e il peso dell’inflazione: tutto insomma, ma non il “mero” fatto che non sarebbe votabile in quanto donna e/o afroamericana. Eppure parte della narrazione in queste ultime ore di Elezioni Usa 2024 è proprio diretta in questo senso a “smuovere” le masse ponendo – per assurdo – una sorta di “senso di colpa” nel non essere d’accordo con il voto per Harris: una scusa che i Repubblicani definerebbero “woke” per spiegare la fatica dei Democratici nel convincere il proprio stesso elettorato a scegliere per l’ex procuratrice e attuale vicepresidente. La fatica nelle classi povere di sostenere chi incarna una politica ultra-progressista piuttosto lontana da problemi come immigrazione e lavoro. Si può essere d’accordo o meno con Harris, si può votarla o meno; ma il non scegliere lei non può e non deve passare come un “affronto sessista”. Please.