La vittoria di Kamala Harris alle sempre più imminenti elezioni USA è ormai un fatto assodato: a dirlo è il famoso (almeno negli States) storico Allan Lichtman che in occasione di ogni appuntamento elettorale ha sempre pronunciato il suo pronostico indovinando – o anticipando – tutti i risultati dal 1984 a questa parte, incluso lo storico ribaltone che si portò a casa nel 2016 Donald Trump scalzando all’ultimo Hillary Clinton che era data largamente per favorita: l’unico errore di Lichtman risale al 2000 quando indovinò la vittoria popolare di Al Gore, ma senza riuscire a prevedere il ribaltamento da parte della Corte Suprema e di grandi elettori della Florida.
La ragione per cui Kamala Harris è destinata a vincere è legata al modello messo in piedi dallo stesso Lichtman con il russo Vladimir Keilis-Borok che si basa (spiega il Corriere della Sera) su 13 domande a risposta chiusa – vera o falsa – che valutano l’operato del partito e non del candidato: “Conta il modo di governare – spiega sempre al Corriere -, non come si fa la campagna elettorale“, tanto che “il mio pronostico non si basa su Kamala Harris, ma sull’operato dell’amministrazione democratica“, che nonostante alcune ovvie problematiche è riuscita a mantenere il controllo sulla maggioranza dei 13 parametri racchiusi dalle domande.
Come lo storico Allan Lichtman è arrivato al pronostico su Kamala Harris: “Il sistema a 13 punti non ha mai fallito”
Per arrivare al nome di Kamala Harris – e di tutti quelli che l’hanno preceduta – lo storico ha messo in piedi un vero e proprio sistema di calcolo geofisico delle probabilità che si è basato sull’osservazione di 13 parametri comuni che si sono verificati in ogni elezione tra il 1860 e il 1980 calcolando con esattezza che quando un candidato del partito al potere fallisce in almeno sei di quei punti (facendoli, dunque, propendere verso il ‘falso’) è quasi certo che perderà la presidenza.
Dal conto della Harris il suo sistema avrebbe individuato solamente quattro criticità su 13 che includono – spiega ancora una volta al Corriere – la perdita di seggi “alle elezioni di metà mandato”, l’esclusione del “presidente in carica” dalla corsa elettorale, “il carisma” della candidata ben lontano da quello travolgente di personaggi come “Roosevelt o Reagan” e – infine – i “fallimenti militari o in politica estera”; senza contare che l’ipotesi di Kamala Harris aprirebbe alla storica svolta della “prima presidente donna, ma anche di origine africana e asiatica” che ben si concilia alla “direzione [sociale] che ha preso l’America” negli ultimi anni.