Si intitola “Kandinskij. L’opera 1900-1940” la mostra che Palazzo Roverella a Rovigo ospiterà fino al prossimo 26 giugno (ottanta opere, oltre a libri in edizione originale, documenti, fotografie, filmati d’epoca, cimeli e oggetti d’arte popolare). Curata da Paolo Bolpagni ed Evgenia Petrova, permette ai visitatori di scandagliare tutto o quasi il percorso artistico e umano del pittore russo nato nel 1866 e morto nel 1944. Filo rosso della ricerca di Vasilij Kandinskij, il suo leit motiv per usare un termine musicale, “la convinzione profondissima che nella vita come nell’arte l’anima, lo spirituale, la sensibilità debbano avere la precedenza sulla materialità”, scrive Evgenia Petrova nel catalogo (pubblicato da Silvana Editoriale) della mostra. Aggiungendo: “Il tema del contenuto spirituale interiore costituisce, secondo Kandinskij, il senso di un’opera d’arte”.
Diventato pittore a tempo pieno a trent’anni, abbandonata l’attività legale, Kandinskij si mosse nel corso della sua vita tra Russia, poi URSS, Germania e Francia, ma fu soprattutto in Germania che trovò il terreno più fertile e accogliente.
Kandinskij nelle regioni e ragioni dello spirito
Ai primi del ‘900, Kandinskij si trovò influenzato e investito da una serie di “disintegrazioni”. La fisica disintegrava l’atomo (“La disintegrazione dell’atomo fu per me come la disintegrazione del mondo (…) Tutto divenne incerto, malsicuro, mutevole”). La psicoanalisi di Sigmund Freud disintegrava l’io, che non era più padrone in casa propria. Arnold Schönberg disintegrava la musica tonale, quella forgiata da Bach in poi. Infine, il cubismo di Pablo Picasso e Georges Braque e le altre avanguardie artistiche disintegravano la pittura.
Sull’onda di questi avvenimenti esteriori, ma anche della sua inesausta ricerca interiore, Kandinskij “compie la rivoluzione forse più determinante dell’arte del XX secolo, ovvero la rinuncia alla mimesi e l’approdo (o il ritorno) all’aniconismo (…) a seguito di un itinerario di maturazione progressiva che (…) ha la scaturigine più autentica nelle regioni e ragioni dello spirito” (Paolo Bolpagni).
Dipingere l’invisibile: la missione di Kandinskij
Kandinskij non ritrae l’oggetto, lo evoca. Nel suo saggio “Lo spirituale nell’arte”, parlando della poesia simbolista, scrive infatti: “Quando non si vede l’oggetto bensì se ne ode solo il nome, nella mente dell’ascoltatore si forma la rappresentazione astratta, l’oggetto smaterializzato, il quale produce immediatamente una vibrazione nel cuore”.
E Philippe Sers ricorda che per Kandinskij “l’unico progresso in arte consiste nella liberazione della risonanza interiore degli elementi rispetto alla figurazione realista”.
Nella sua esigenza di dipingere l’invisibile Kandinskij approda, dal 1920 in poi, all’astrattismo geometrico delle sue opere più celebri, così come la musica dodecafonica di Schönberg e allievi giungeva alla sua forma più rigorosa e matematica. Accomunato dalla stessa sete di esplorazione, Schönberg scriveva a Kandinskij, in una lettera datata 19 agosto 1912: “Dobbiamo renderci conto che siamo circondati da enigmi. E dobbiamo avere il coraggio di affrontarli senza chiedere vilmente di avere una ‘soluzione’. È importante che la nostra capacità creativa riproduca enigmi in base a quelli che ci circondano, affinché la nostra anima tenti non di risolverli, ma di decifrarli (…) Essi sono, infatti, il riflesso dell’inattingibile”.