Katherine Alvarez, la mamma di Kata, ha commentato a Quarto Grado la svolta nell’inchiesta sulla scomparsa della bambina a Firenze. La Procura, infatti, ha iscritto nel registro degli indagati cinque persone. Due sono Abel Argenis Alvarez Vasquez, lo zio materno, e Marlon Edgar Chicclo, lo zio paterno. Gli altri, invece, hanno attirato le attenzioni degli inquirenti perché appaiono in un video mentre escono dall’ex Hotel Astor con due valige e un borsone. “Ho visto le immagini, ma non conosco queste tre persone né tanto meno le ho incontrate il giorno in cui mia figlia è sparita”, ha affermato la donna.



Due indagate sono le peruviane Rosemary e Ilary. La prima abitava col marito nella struttura e conosceva Kata perché la loro stanza era nello stesso piano e perché suo figlio ogni tanto giocava con lei. La donna sostiene che non è lei a essere uscita dall’albergo con la valigia, ma sua cugina, che era stata sua ospite e stava andando via. Il quinto indagato invece è il rumeno Alberto, che non ha la residenza all’ex Hotel Astor ma secondo le sue dichiarazioni dentro il borsone aveva dei vestiti che stava portando in lavanderia. Le loro versioni saranno verificate dalla Procura nelle prossime settimane. Gli inquirenti inoltre torneranno sul posto per effettuare delle nuove verifiche.



Kata, la mamma: “Quando è scomparsa l’atmosfera era strana”. Il racconto

Katherine Alvarez, la mamma di Kata, in attesa che siano effettuati i necessari rilevamenti sul borsone e sulle valigie sequestrate, ha ripercorso la giornata della scomparsa. “Dalle 15.15 non si sa più nulla su di lei. Io sono rientrata da lavoro intorno alle 15.50. Ho domandato subito a mio fratello dove fosse la bambina e lui disse che stava giocando. Sono salita nella stanza dell’amichetta. L’ultima ad averla vista è la sua mamma, ma mi spiegò che l’aveva lasciata nel corridoio perché avevano litigato. Sono andata da sua cognata perché ogni tanto giocava con suo figlio. Lei disse che Kata e suo fratello erano in Chiesa e che sarebbero tornati a breve. Io mi sono fidata, per cui sono andata in camera e mi sono lavata. Quando è rientrato mio figlio ho scoperto che non era con lui”, ha ricordato.



È in quel momento che è iniziato l’incubo. “Ho iniziato a urlare, a cercare ovunque. C’erano delle persone che non mi permettevano di entrare nelle loro stanze per cercarla, abbiamo litigato. Lidia, la responsabile della comunità, mi ha permesso di entrare nella sua. In quel piano erano tutti rumeni. Io ho minacciato di chiamare la Polizia. Io ho cercato ovunque, ma l’ex Hotel Astor è grande. L’atmosfera era strana, c’era un silenzio innaturale. Non credevo che sarebbe potuto accadere a me, che avrebbero fatto sparire mia figlia”.