Katia Villirillo è una madre coraggio di tre figli. La storia della donna di Crotone sarà narrata questa sera nel corso della trasmissione Sopravvissute, in onda nella seconda serata di Rai3. Proprio nella sua città, in Calabria, Katia fonda un’associazione per aiutare le donne vittime di violenza e prostituzione. Una scelta coraggiosa ma che le costerà molto cara in quanto sin da subito la donna inizia a ricevere numerose minacce. Nonostante questo la sua determinazione la porta ad andare avanti con l’intento di aiutare altre donne in difficoltà. Arriva il 13 gennaio 2018 quando un giovane boss all’epoca dei fatti 19enne, suo vicino di casa, entra nella sede del suo centro antiviolenza e spara al primogenito di Katia, Giuseppe Parretta. Quattro colpi di arma da fuoco che però per il 18enne si rivelano letali: il giovane muore sotto gli occhi della madre.



Oggi Katia, nonostante il grande dolore, continua a battersi con la sua associazione in difesa delle donne vittime di violenza proprio in memoria del figlio Giuseppe, e non ha mai smesso di chiedere un segnale di vicinanza da parte delle istituzioni.

KATIA VILLIRILLO, FIGLIO GIUSEPPE UCCISO

Fu Salvatore Gerace, pregiudicato con diversi precedenti alle spalle ad esplodere i quattro colpi di arma da fuoco nel centro antiviolenza “Libere Donne” gestito a Crotone da Katia Villirillo. Come emerse dalle indagini, quando Gerace entrò nel centro erano presenti Katia, il figlio maggiore Giuseppe con la fidanzata e due suoi fratelli. Il giovane, raggiunto dagli spari, spirò proprio tra le braccia della madre. Nel dicembre 2019, dopo essere finito a processo con l’accusa di omicidio, Gerace fu condannato all’ergastolo dai giudici della Corte d’Assise di Catanzaro. Dopo il delitto l’uomo disse di “essere spiato da quella famiglia e vittima di un complotto”. La Corte d’Assise ha contestato a Gerace l’aggravante della premeditazione, accogliendo la richiesta di condanna avanzata dal pm della Procura della Repubblica di Crotone, Ines Bellesi, e dalle parti civili. “Mio figlio è morto soltanto perché uno spacciatore si era messo in testa che la mia famiglia spiasse i suoi loschi affari”, commentò dopo la sentenza di primo grado la madre all’agenzia Dire. Gerace, secondo l’accusa, era infastidito dal continuo passaggio di donne in quell’angolo della città che disturbavano i suoi traffici di droga.



KATIA VILLIRILLO E LA SUA ASSOCIAZIONE

Dal giorno del delitto del figlio, per Katia Villirillo, aprire la porta della sua associazione è un colpo al cuore: “È una crudeltà costringermi a tornare ogni giorno dove è morto mio figlio. Credo che questo possa capirlo chiunque…”, ha commentato in una intervista al Corriere della Sera. “È stato come se avesse sparato anche a me”, ha aggiunto la donna, “sopravvissuta” al dolore più grande, quello della morte del figlio 18enne, in seguito alla quale ha chiuso l’associazione per prendersi cura delle sue figlie pur non smettendo mai di dare una mano a coloro che avevano bisogno. Lei continua nella sua battaglia e lo fa soprattutto per amore del figlio ucciso in quella stessa associazione: “Quando era ancora caldo di vita avevo giurato a Giuseppe che non mi sarei mai arresa e io le promesse le mantengo”, ha spiegato. Nel corso della sua battaglia però non ha smesso di domandarsi dove fossero le istituzioni, sentendosi spesso abbandonata a se stessa.