Sono tornato dal Kazakistan (o meglio, dal Qazaqstan come si dovrebbe scrivere ora). In soli sei giorni ho rivisto tanti amici, colleghi, ragazzi, miei ex studenti, molti dei quali stanno facendo una bella carriera. Spesso hanno già tanti figli (la cosa che si nota subito andando là è che nascono ancora tanti bambini). Il Paese è in pace. Cresce. Certo, come dovunque, ma non dovunque succede allo stesso ritmo. La benzina costa 40 centesimi di euro al litro. Il biglietto dell’autobus 35. Gli stipendi sono più bassi dei nostri, ma la vita non è cara come da noi.
Il Paese è in pace. Nonostante si trovi in una posizione imbarazzante, tra la Russia e la Cina, sa destreggiarsi nei confronti dei due colossi. Ha buone relazioni con l’Europa, anche con l’Italia, che per molti kazaki conserva un fascino particolare. Ci sono ancora tanti giovani russi sfuggiti alla mobilitazione, ma non così tanti come prima. Non pochi, davanti alla prospettiva di essere dichiarati “nemici del popolo” e di essere trattati al loro rientro come i loro nonni che erano tornati vivi dai campi di concentramento della Seconda guerra mondiale, se ne sono andati. Molti, a malincuore, sono tornati a casa, molti altri sono andati in altri Paesi come il Canada, sempre pronto ad accogliere non poveri migranti disperati, ma veri professionisti anche di alto livello.
Anche le Chiese continuano a convivere pacificamente, controllate dagli organi di sicurezza, per la verità preoccupati soprattutto delle infiltrazioni di estremisti islamici della nuova sezione Isis dell’Asia centrale. Così anche le sempre più numerose moschee si riempiono, ma i predicatori non hanno nulla a che fare con certi imam che a volte ci dobbiamo tenere in Italia.
C’è fiducia nel futuro, anche se in questo futuro sembra non esserci posto per una considerazione seria della vita eterna. La religione, infatti, continua ad essere soprattutto, per molti, un aspetto della propria appartenenza etnica, con varie regole qui non troppo severe da rispettare. Basta che siano sufficienti per fare di ogni kazakistano un buon cittadino. Eppure, in questo clima, anche tra i giovani, non viene meno la pratica drammatica del suicidio. A volte basta una delusione amorosa, un dissesto finanziario anche non rilevante e non si riesce più ad accettare una vita costruita su progetti anche seri, ma fine a se stessi.
Così è evidente che il bisogno di una speranza ragionevole, frutto di un rapporto di fiducia con chi questa speranza ce l’ha già e la vive serenamente, si impone come necessario per la persona, prima che per lo sviluppo del Paese.
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