Sono tornato dal Kazakistan, cioè dal Qazaqstan. Forse non tutti se ne sono accorti, perché i media erano troppo occupati a riferirvi tutti i particolari del funerale della regina Elisabetta o a raccontarvi le ultime schermaglie dei politici in vista delle prossime elezioni, ma il papa, papa Francesco, ha compiuto il suo viaggio in Kazakistan in occasione dell’ennesima “Assemblea mondiale delle religioni tradizionali”.



Fisicamente il papa non era in gran forma; anzi al di là dei suoi evidenti problemi alle gambe, mostrava anche una certa stanchezza, probabilmente aumentata dalla differenza di fuso orario. In compenso, sia nei discorsi ufficiali, sia negli incontri personali ha dimostrato, come si dice, di essere totalmente “sul pezzo”.



Il suo discorso di saluto all’arrivo e, ancor di più, il suo intervento all’assemblea delle religioni ha mostrato una insospettabile conoscenza della cultura kazaka. Del discorso fatto all’assemblea delle religioni c’è da sottolineare, secondo me, soprattutto l’affermazione che la libertà religiosa non si può ridurre alla libertà di culto.

È chiaro che purtroppo anche per i musulmani più aperti rimane difficile accettare che premessa della vera libertà religiosa è una vera libertà di coscienza, come si afferma nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata dall’Onu nel 1948. Ciò ad esempio comporterebbe il diritto alla conversione ad un’altra religione e/o il rispetto dei non credenti, come paradossalmente ebbe a sottolineare san Giovanni Paolo II nella sua visita del 2001. Il discorso del papa si è mantenuto al livello del diritto naturale e per questo non ha fatto alcun riferimento esplicito al proprio fondamento cristiano, cosa che ha attirato qualche critica anche da parte di alcuni esponenti del corpo diplomatico. D’altra parte, credo, il contesto richiedeva delle affermazioni di principio valide per tutti, piuttosto che la difesa di una propria posizione.



La celebrazione della santa messa in uno spiazzo dell’Expo è stata poi l’occasione di un incontro di papa Francesco coi cattolici, ma anche con qualunque altro volesse incontrarlo. Tra i cattolici erano presenti anche gruppi provenienti dalla Polonia, dall’Ucraina, dalla Federazione Russa e anche dalla Mongolia, un gruppo di coraggiosi guidati dal nuovo cardinale Giorgio Marengo, che hanno fatto 3.400 chilometri in macchina, molti su strade poco praticabili, per incontrare il papa. Dico subito che erano presenti non più di 10mila persone, un terzo di quelli che avevano partecipato alla santa messa di san Giovanni Paolo II nel 2001.

Certo il partecipare alla Messa richiedeva questa volta una forma di prenotazione elettronica non sempre attuabile da parte delle persone meno esperte. Inoltre la situazione creata dalla guerra ha bloccato molti viaggi. La sensazione però era che in questi anni si sia raddoppiato il numero dei preti e dimezzato quello dei fedeli. Non è che questi hanno perso la fede; il fatto è piuttosto che in questi 21 anni molti, soprattutto di origine polacca, come già avevano fatto quelli di origine tedesca, sono emigrati nella loro “patria elettiva”.

Inoltre, come poi ha richiamato papa Francesco nel discorso ai preti e ai religiosi il giorno dopo, purtroppo l’attenzione pastorale è andata più alla cura dei fedeli etnicamente cattolici che non all’annuncio della fede, anche con atteggiamenti da parte di alcuni, vescovi compresi, di chiusura rispetto all’invito di papa Francesco per una Chiesa in uscita. L’uscita c’è stata, ma dal Paese. E questo è avvenuto quando da parte di molti kazaki, presenti anche alla messa, c’era e c’è una certa attesa nella Chiesa.

D’altra parte se solo ora, timidamente, si comincia a prendere in considerazione lo studio della lingua nazionale e la valorizzazione della tradizione del popolo, si rischia di diventare una Chiesa straniera, di stranieri in patria. In questo senso, personalmente, ho avuto la grande consolazione di incontrare un buon numero di miei ex studenti che non solo parlano bene l’italiano, ma che condividono la nostra fede. E di questo si è accorto con gioia anche papa Francesco in diversi incontri personali.

Infine una breve, ma importante osservazione sulla situazione geopolitica. Il giorno 14 settembre è arrivato, in coincidenza con la presenza del papa, il leader della Repubblica Popolare Cinese. Faceva impressione vedere le strade della città con alternate le bandiere della Santa Sede e quelle della Cina. Il capo della Cina, nel suo viaggio verso Samarcanda, sede di un incontro della Conferenza di Shangai, ha voluto fermarsi ad Astana (da due giorni ha ripreso la sua denominazione…) affermando di essere venuto per rassicurare il Kazakistan che la Cina avrebbe garantito l’integrità territoriale del Paese. Da chi? Fino ad oggi il Kazakistan era stato protetto dai russi nei confronti dei cinesi. Oggi le parti si sono invertite. Vi sembra una cosa da poco?

Per approfondimenti, se lo desiderate, ci vedremo ancora.

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