Il Kazakhstan è un grande Paese, molto grande, anche troppo, soprattutto per chi deve fare una specie di commesso viaggiatore di Gesù, come è capitato a me.

Confina a ovest con la Russia, a nord con la Russia, ad est con la Cina, anche se la Cina non se ne accorge neanche, perché in mezzo ci sono le montagne del Tien Shan, una specie di Prealpi dell’Himalaya, che arrivano fino a 7mila metri; a sud con Kirghisia ed Uzbekistan e anche, per un pezzettino, con l’Iran, sul mar Caspio.



Dicevo che è immenso, 2 milioni di km quadrati, con una popolazione di 16 milioni di abitanti, in continuo aumento, perché i kazaki non guardano molto la tv e ai social preferiscono decisamente i rapporti umani, specialmente quelli con l’altro sesso.

Caratteristica del Kazakhstan è quella di essere un paese assolutamente multietnico: 120 etnie diverse, in gran parte arrivate lì grazie, si fa per dire, alle deportazioni di massa di un certo Stalin. Tra questi deportati, per il primo in verità Stalin non c’entra, ci sono stati Dostoevskij e Solgenicyn, che a Kok Tube ha concluso la sua deportazione nell’arcipelago.



Quanto a religione ce n’è ancora poca: non come quando nel 1995 ci fu il primo censimento del Kazakistan indipendente e il 70% disse di non credere in Dio: ora sono un po’ di più. Infatti ogni tanto nella capitale si fa l’Assemblea delle religioni tradizionali del mondo, ma è un po’ come se in Val di Non si organizzasse il Festival della pizza. Comunque la pizza è apprezzata anche in Val di Non e, in effetti, anche nella steppa c’è chi comincia a riscoprire la religione, quando è qualcosa non da studiare, ma da vivere come esperienza di un nuovo modo di affrontare la realtà.

In Kazakhstan ci sono molti animali; molti di loro sono molto interessanti, come il bars (il leopardo delle nevi) e la saighà (la gazzella della steppa). Purtroppo ci sono anche le zanzare, che se nel lungo inverno vanno in letargo, d’estate si prendono la rivincita sulle condizioni climatiche e si fanno una riserva di sangue da far invidia all’Avis. Comunque le zanzare sono sempre meno numerose della polizia della strada, che, in quanto a succhiare il sangue, non ha nulla da imparare.



In Kazakhstan ci sono molti studenti, forse più studenti che voglia di studiare, ma chi studia lo fa spesso con quell’intelligenza e quella passione di chi incomincia qualcosa di nuovo con entusiasmo.

La storia della cultura kazaka è tutt’altro che misera, ma purtroppo per anni è stata quasi dimenticata, ed ora non sempre è riscoperta per quello che è. Lo sport è molto apprezzato, soprattutto quegli sports dove si tratta di menare qualcuno. La squadra nazionale del Kazakhstan di “Kokpar” è campione del mondo in carica. Come, non sapete che cos’è il kokpar? È quella specie di rugby a cavallo nel quale due squadre di cavalieri si sfidano a portare una pelle di montone da una parte all’altra. Naturalmente intanto si menano.

Ci sarebbero ancora mille altre cose da raccontare sul Kazakhstan, dalle numerose ricchezze minerarie, a cominciare dal petrolio, a quelle potenziali agricole, a cominciare dal grano, fino a tanti esempi di come veri uomini e vere donne hanno saputo sopravvivere tra mille avversità, a cominciare da quelle meteorologiche, creando una possibilità di vita per molti popoli differenti. Questa in fondo è la cosa più bella del Paese, quella che rappresenta un esempio interessante per gli stranieri e una responsabilità di non poco conto per i governanti locali.

Per molti anni il Paese è stato governato dal primo presidente Nur Sultan Nazarbayev (non vi dice nulla il nome?). Considerato da molti una specie di delfino di Gorbaciov, osannato in Occidente all’inizio per le sue riforme, fino al punto che il presidente Scalfaro gli conferì il titolo di Grand Ufficiale della Repubblica Italiana, via via è andato perdendo il consenso di molti concittadini e la benedizione di molti occidentali. Su certe sue responsabilità personali, soprattutto nel campo della corruzione c’è ancora molto da chiarire. Di fatto il suo successore Jhamart Tokaev ha ereditato un Paese molto più sviluppato di quegli altri “-stan” vicini, ma proprio per questo desideroso che il cosiddetto processo di democratizzazione possa andare fino in fondo.

In questo paese papa Francesco sta per andare, consapevole anche della scelta di mediazione per la pace che il Kazakhstan ha fatto nella questione della guerra in Ucraina. Ma di questo avremo modo di parlare dopo, dopo la visita.

A proposito, tra quelli che “vanno a portare le valigie del papa” ci sarò anch’io.

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