Il bilancio purtroppo parziale degli scontri ancora in atto in Kazakistan sarebbe ben più di 300 morti: almeno 13 poliziotti uccisi, di cui 2 addirittura decapitati, ma anche un numero altissimo di vittime tra i manifestanti che da giorni attaccano il Governo per l’aumento dei prezzi del gas.

Solo ad Almaty, scrive sui social il gruppo indipendente “GeopoliticalCenter”, gli edifici del potere sono stati rasi al suolo: anche i palazzi dei canali televisivi sono stati incendiati. «I servizi antincendio della città sono fuori uso, la maggior parte delle loro attrezzature essendo state distrutte. I manifestanti hanno saccheggiato gli uffici di MIR, Kazakhstan, Khabar, Eurasia e KTK», spiegano ancora dall’account del gruppo di analisti esperti di politica estera. Usa, Russia e Ue chiedono la tregua per gli scontri in atto, con rispettive accuse di interventi “stranieri” atti a sollevare il popolo contro il potere del Governo post sovietico. In 48 ore è esplosa una guerra civile ora di difficile previsioni per effetti e conseguenze: le truppe russe hanno iniziato ad attraversare i confini del Kazakistan dopo la richiesta di aiuto pervenuta dal Presidente Tokayev direttamente al Cremlino. La banca centrale kazaka ha sospeso le operazioni delle banche e della borsa valori del Paese «allo scopo di proteggere la salute e la vita del personale del settore finanziario mentre sono in corso le operazioni antiterrorismo», fa sapere alle agenzie internazionale il portavoce Olzhas Ramazanov. L’assedio delle principali città del Paese prosegue mentre la Russia prosegue nell’indicare in minacce straniere i motivi della presunta fomentazione della folla contro il Kazakistan: «il compito delle truppe sarà contribuire a neutralizzare gli istigatori della violenza e mettere in sicurezza le infrastrutture strategiche», spiega il Ministro della Difesa di Mosca, spiegando come l’intervento delle truppe dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO, le 6 ex repubbliche sovietiche) sia necessario per i disordini in corso «in parte dovuti ad intervento dall’estero». Gli Usa rimandano al mittente le accuse e fanno sapere, «invitiamo tutti i kazaki a rispettare e difendere le istituzioni costituzionali, i diritti umani e la libertà dei media, compreso il ripristino del servizio Interne». Il Governo nel frattempo ha posto il calmiere per 6 mesi sul prezzo del gas anche se per il momento la stabilizzazione della situazione socio-economica non sembra placare la furia delle proteste.



RIVOLTA IN KAZAKISTAN: COSA STA SUCCEDENDO

Città assaltate, palazzi del potere sotto assedio, più di 200 arresti e un Governo licenziato dal Presidente: la situazione in Kazakistan sta velocemente degenerando nelle ultimissime ore, con la rivolta popolare contro gli aumenti dei prezzi sul gas che sta portando il caos letterale nel Paese asiatico.



Ad Almaty, capitale finanziaria del Kazakistan, i manifestanti hanno assaltato e dato alle fiamme l’edificio del Comune ma disordini clamorosi vengono confermati in questi minuti anche nella Capitale Astana (dal 2019 chiamata Nur-Sultan in onore dell’ex presidente Nazarbayev); ad Aktobe invece, i manifestanti hanno addirittura occupato il Municipio non trovando alcuna resistenza delle forze dell’ordine. È in corso inoltre un profondo blackout di rete internet in tutto il Paese, mentre la telefonia mobile ha subito parziali restrizioni nelle scorse ore: denuncia la ong Netblocks, «È probabile che questo limiti fortemente la copertura delle crescenti proteste antigovernative».



DA DOVE NASCONO LE PROTESTE DEI CITTADINI

La causa iniziale dei disordini, spiega l’Agenzia AGI, è stato l’aumento dei prezzi del GPL a Mangystau, ricca di idrocarburi: «una mossa del governo per abbassare i prezzi in linea con le richieste dei manifestanti non è riuscita a calmarli». Proprio l’aumento dei prezzi dell’energia è stata la scintilla di quella che somiglia molto ad una rivoluzione “di piazza” ma che ha origini da molto lontano: nonostante le dimissioni nel giugno 2019, in Kazakistan è sempre il “padre della nazione” Nursultan Nazarbayev a dettare legge e non è escluso che le proteste in queste ore siano da imputare a un tentativo di “rovesciamento” del potere in atto da decenni sotto l’egida dell’81enne attuale presidente del Consiglio di sicurezza e “Leader della nazione”. Alcuni manifestanti ad Astana gridano davanti ai palazzi del potere, «fuori il vecchio», riferendosi all’ex Presidente.

SCIOLTO IL GOVERNO, MA RESTA IL CAOS NEL PAESE

Il bilancio parziale della rivolta in atto in Kazakistan è già gravissimo: un centinaio di agenti delle forze dell’ordine feriti, 200 persone arrestate e 37 volanti della polizia danneggiate, così come ambulanze e strade. Il presidente Kassym Jomart Tokayev ha licenziato nelle scorse ore il Governo per provare a placare le proteste, ma tutto è sembrato inutile: Tokayev ha dunque imposto lo stato di emergenza a Almaty, capitale finanziaria, e nella provincia occidentale di Mangystau. Con le dimissioni del gabinetto guidato dal primo ministro Askar Mamin, il Governo viene affidato al suo vice Alikhan Smailov, in attesa che nelle prossime settimane si possa formare un nuovo esecutivo. «Stiamo seguendo da vicino la situazione», ha spiegato il Ministero degli Esteri della Russia nel confermare di non essere stata coinvolta in richiesta di aiuti da parte del vicino e alleato Kazakistan, «e’ importante che nessuno interferisca nella situazione in corso. Siamo convinti che i nostri amici del Kazakistan possono risolvere i loro problemi interni in modo autonomo», ha poi aggiunto il portavoce di Vladimir Putin, Dmitri Peskov alla agenzia di stato Ria Novosti. Nel frattempo, il Presidente Tokayev ha nominato un nuovo vice capo del comitato di sicurezza nazionale per sostituire Samat Abish, un nipote di Nazarbayev, provocando ulteriori disagi e proteste nei manifestanti che accusano la presenza di “estremisti” per le strade a picchiare e assaltare i civili. Il Presidente del Kazakistan ha “approfittato” della vicenda per denunciare presunti “estremisti” guidati da «potenze straniere» che vogliono «far saltare la stabilità nel Paese e frantumare l’unità del popolo».