Beverly Hilton Hotel, Los Angeles, 27 ottobre 2017. All’assegnazione dell’annuale Albert R. Broccoli Britannia Award for Worldwide Contribution to Entertainment, presentato dal ramo locale della British Academy of Film and Television Arts (BAFTA), per introdurre il premiato c’è Christopher Nolan, che proprio quell’anno lo ha voluto nel suo Dunkirk per dare volto e voce allo stoico comandante Bolton, l’ufficiale della Marina Britannica che sovrintende alle operazioni di evacuazione dall’unico molo ancora agibile di Dunkerque: «Ken Branagh è un narratore nato. Racconta buone storie. Come molti registi qui, ho una lista di attori con cui ho sempre voluto lavorare. E come per molti registi qui, a causa delle mie insicurezze, non ci sono molti registi-attori in quella lista. Ken Branagh è differente. Quando ho guardato Enrico V e L’altro delitto, ho visto qualcuno ugualmente innamorato di Shakespeare come del film noir. La figura alla quale era paragonato più di frequente nei primi anni era Sir Laurence Olivier, che aveva gettato un ponte tra il palco e lo schermo. Ma in verità per me il legame era più con Orson Welles, perché Kenneth Branagh per me è uno showman nato. È un narratore che capisce che qualsiasi cosa può essere uno strumento per la narrazione: la sua presenza, il suo corpo, il suo carisma, la macchina da presa, il suono, la luce, tutte queste cose messe insieme. Non c’è snobismo in ciò che fa, non c’è preferenza per il teatro rispetto al film. E così, per me, è qualcuno con cui volevo in qualche modo entrare in contatto come narratore, e recentemente ho avuto il piacere di farlo. […] E ciò che mi ha suggerito e spinto a scrivere – un po’ come un insegnante che conosce la risposta ma lascia in qualche modo che sia tu a risolverla per conto tuo – mi ha portato a quello che è diventato uno dei miei momenti preferiti del film. Era uno dei miei momenti preferiti nella sceneggiatura e mi stavo godendo la ripresa di questo momento. Ed è il momento in cui il personaggio di Ken vede le piccole imbarcazioni arrivare per aiutare l’evacuazione di Dunkerque, ed è stato un tale piacere filmarlo là fuori alla fine di questa struttura, in mezzo al canale della Manica, in una giornata ventosa, e prendere una macchina da presa da 65 millimetri e spingerla su quella faccia incredibile».



La loro collaborazione è stata bissata quest’anno in Tenet, dove il regista-attore interpreta lo spietato trafficante d’armi russo Andrei Sator, ma l’inizio della carriera cinematografica di Sir Kenneth Charles Branagh – che, nato il 10 dicembre 1960 da genitori presbiteriani in un quartiere popolare di Belfast, compie oggi sessant’anni – risale agli anni Ottanta del secolo scorso. Trasferitosi con tutta la famiglia in Inghilterra e terminata la scuola, folgorato da un Amleto di Derek Jacobi, si iscrive alla Royal Academy of Dramatic Art (RADA). Dopo il diploma, tra vari impegni sia sul piccolo schermo che sul palco, sono proprio un successo televisivo (la trilogia Play for Today, 1982-84) e uno teatrale (Another Country, 1981-82, per il quale ottiene il Laurence Olivier Award come miglior esordiente) ad aprirgli le porte della Royal Shakespeare Company (RSC), che nel 1983 gli propone un ingaggio di sessanta settimane per il ruolo principale in Enrico V, diventando il loro più giovane membro a interpretare la parte. Al termine del contratto decide di lasciare la RSC progettando di fondare una compagnia che valorizzi l’apporto degli attori e avvicini il Bardo al grande pubblico: nel 1987 ha inizio l’esperienza della Renaissance Theatre Company che, con l’avvio dell’avventura cinematografica della Renaissance Films, si scioglie nel 1992.



Parliamo allora di grande schermo. Dopo un’apparizione (non accreditata) in Momenti di gloria (1981), la sua prima volta da attore arriva con il ruolo dell’archeologo James Moon in Un mese in campagna (1987) accanto a Colin Firth. Ma aveva rischiato di esordire già tre anni prima e in una pellicola da Oscar: era stato infatti originariamente scelto per la parte del protagonista in Amadeus (1984) prima che la produzione optasse per attori americani nei ruoli principali. Per restare in tema di film da Oscar, viene preso in considerazione per Jack Crawford (il dirigente FBI che recluta Clarice Starling, poi interpretato da Scott Glenn) ne Il silenzio degli innocenti (1991), prima ancora dell’uscita in sala della sua pellicola d’esordio da regista-attore, Enrico V (1989), che gli frutta due candidature nominali (l’unica statuetta arriva ai costumi di Phyllis Dalton, già premiata negli anni Sessanta per quelli de Il dottor Živago di David Lean). È nata una stella – nemmeno trentenne e un decennio pieno di attività e occasioni – e ha inizio il revival cinematografico del Bardo, che in meno di dieci anni ci porterà alla notte dei sette Oscar di Shakespeare in Love (1998).



A oggi, proprio grazie a Enrico V, Branagh è una delle sole sette persone ad aver ricevuto una nomination come miglior attore e miglior regista per lo stesso film, insieme ai già citati Welles (Quarto potere) e Olivier (Amleto) e a Woody Allen (Io e Annie), Warren Beatty (Il paradiso può attendere e Reds), Clint Eastwood (Gli spietati e Million Dollar Baby) e Roberto Benigni (La vita è bella) mentre è evidente come si senta più a suo agio negli adattamenti, dato che dei suoi finora diciotto film solo quattro (nei primi due e nell’ultimo è anche attore) – L’altro delitto (1991), Gli amici di Peter (1992), Nel bel mezzo di un gelido inverno (1995) e Casa Shakespeare (2018) – non provengono da materiale preesistente: Enrico V, Molto rumore per nulla (1993), Hamlet (1996), Pene d’amor perdute (2000) e Come vi piace (2006) sono pellicole shakespeariane da lui anche interpretate (tranne l’ultima); Frankenstein di Mary Shelley (1994, anche attore) è una trasposizione del romanzo gotico del 1818; Il flauto magico (2006) è basato sull’omonima opera lirica mozartiana (1791); Sleuth – Gli insospettabili (2007) è un rifacimento del film Gli insospettabili (1972) tratto dal testo teatrale L’inganno (1970) di Anthony Shaffer; Thor (2011) è un personaggio dei fumetti Marvel di cui è un fan fin dall’infanzia; Jack Ryan – L’iniziazione (2014, anche attore) viene dai libri di Tom Clancy; Cenerentola (2015) è un remake in live action del film d’animazione della Disney (1950) basato sulla celebre fiaba; Assassinio sull’Orient Express (2017) e Assassinio sul Nilo (non ancora uscito causa pandemia CoViD-19) – nei quali veste i panni di Hercule Poirot – sono trasposizioni di romanzi di Agatha Christie (del 1934 e del 1937, già messi una prima volta su pellicola nel 1974 e nel 1978) mentre Artemis Fowl (2020) è liberamente ispirato ai primi due libri della saga creata (2001) da Eoin Colfer.

È il 2000 quando in Italia Il Castoro gli dedica una monografia della collana Cinema: Kenneth ha solo quarant’anni e, dopo aver firmato in dieci anni otto dei diciotto titoli citati, c’è chi già lo vede con un grande avvenire alle spalle e chi come un autore ancora in divenire con all’attivo opere sia riuscite che maldestre, “branaghiane” nel bene e nel male. Comunque, alla fine dell’ultimo decennio del Novecento – in cui è considerato (succedendo così a Sir Alec Guinness) per il ruolo di Obi-Wan Kenobi (poi interpretato da Ewan McGregor) in Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma (1999) – incappa nei passi falsi di Wild Wild West (1999, solo attore: “The Village Voice” lo definisce un film «stupido e incompetente, con personaggi inconsistenti e alcune tra le peggiori battute mai scritte») e di Pene d’amor perdute, riambientate come musical jazz nel 1939 con omaggi a Fred Astaire e Busby Berkeley e sulle note di Porter, Gershwin, Kern e Berlin, ma senza il successo di critica e pubblico degli adattamenti precedenti.

Nel Duemila il rilancio parte dal piccolo schermo – è il gerarca nazista Reinhard Heydrich in Conspiracy (2001, Emmy come miglior attore protagonista in una miniserie o film), l’esploratore Sir Ernest Henry Shackleton in Shackleton (2002), il futuro presidente Franklin Delano Roosevelt in Warm Spings (2005) e l’omonimo commissario Kurt in Wallander (2008-2015, BAFTA TV Award per la migliore miniserie drammatica, in quanto anche produttore, e per il miglior attore) – per tornare anche sul grande – è il professor Gilderoy Lockhart in Harry Potter e la camera dei segreti (2002), il generale Henning von Tresckow in Operazione Valchiria (2008) e il ministro Sir Alistair Dormandy in I Love Radio Rock (2009).

Gli anni Dieci si aprono con la regia a grande budget di Thor e l’interpretazione di Laurence Olivier in Marilyn (2011, candidato all’Oscar per il miglior attore non protagonista), mentre il 9 novembre 2012 – anno in cui recita in mondovisione il progettista civile vittoriano Isambard Kingdom Brunel diretto a Danny Boyle in occasione della cerimonia di apertura della 30ª edizione dei Giochi Olimpici a Londra – è nominato cavaliere dalla regina Elisabetta II per i suoi contributi al teatro e alla comunità dell’Irlanda del Nord. Il resto è storia recente e nota, tra Walt Disney Studios, 20th Century Studios e Christopher Nolan. Ha inoltre già ultimato le riprese del suo prossimo film (solo regia, a oggi in post-produzione), il semi-autobiografico Belfast, ispirato alla sua infanzia nordirlandese negli anni Sessanta: Happy Birthday, Sir Ken!