C’è modo e modo di viaggiare, soprattutto d’estate. Uno sicuramente molto comodo e per nulla costoso è guardare, seduti sul divano, serie tv prodotte e realizzate in Paesi che difficilmente potremmo raggiungere fisicamente. Chiamiamola una forma di “turismo culturale” per pigri. Ma vi assicuro di grande efficacia. Intanto la qualità delle produzioni è decisamente aumentata. Spesso sono serie in lingua originale, ma questo, con l’aiuto dei sottotitoli, consente un’immersione totale nella sonorità di quelle voci, nelle inflessioni dei dialetti e spesso aiuta a rilevare quei sentimenti (gioia, ira, affetto, spavento) che i doppiaggi lasciano quasi sempre per strada. E poi capita, a volte, di scegliere quelle davvero ben fatte e con trame di tutto rispetto.



È il caso di Khorra, miniserie tv indiana girata in una provincia assai povera e remota del Punjab. Produzione targata Netflix, 6 episodi di circa un’ora, thriller complesso e ad alta tensione. Non vi sono effetti speciali (e questo è già una notizia), ma non c’è nulla di banale o artefatto. Ci sono scene di un paio di matrimoni, ma non aspettatevi cori, fuochi d’artificio e balli sfarzosi alla Bollywood. Anzi, il racconto della vita dei nostri protagonisti ci spinge, con il giusto rispetto, ad apprezzare la cultura di un popolo, e ci aiuta a capire molto delle loro reali condizioni di vita.



La stragrande maggioranza dell’India vive in povertà assoluta. Quello che noi definiamo “ceto medio” è altrettanto povero. Le condizioni in cui sono tenuti la stragrande maggioranza dei centri abitati sono quelle che una volta si definivano da “terzo mondo”. Ma come spesso accade, questa generale condizione di arretratezza non ha impedito lo sviluppo di un Paese che ha aspirazioni da superpotenza e che dispone di una classe di ricchi spesso prepotente e poco avvezza al rispetto delle leggi. La nostra storia nasce proprio da un caso del genere, quando la polizia locale deve provare a risolvere il caso di omicidio di un giovane, figlio di una delle famiglie più potenti della borghesia locale e tornato dal suo soggiorno dorato a Londra solo per prendere moglie.



Le indagini sono affidate al viceispettore Balbir Singh, interpretato da uno straordinario attore indiano che si chiama Suvinder Vicky. Nonostante il ruolo apparentemente importante l’ispettore dispone per le sue indagini appena di un’auto di servizio e di Garundi, l’unico collaboratore di cui si può fidare. Nei panni di Garundi c’è l’attore Barun Sobti, alla prima interpretazione drammatica dopo anni di musical di successo. La polizia locale non dispone di sofisticati strumenti di indagine e può contare solo sulla rete di informatori e sul vecchio metodo di mettere insieme le scarse notizie su una vicenda che si rivela subito complessa.

È così, pezzo dopo pezzo, Balbir e Garundi riescono a ricostruire il puzzle di eventi che hanno portato alla morte di due ragazzi, con le coincidenze e i depistaggi che hanno reso complicato venire a capo della verità. I due poliziotti non hanno una vita facile, Balbir ha perso da poco la moglie e vive con la figlia in procinto di divorziare, Garundi non riesce ad ottenere il consenso della sua famiglia per sposare la ragazza che ama.

Si direbbe che la nebbia e la polvere sono le due condizioni permanenti della vita del Punjab. Non si vedono luoghi da visitare, non ci sono palazzi lussuosi, ma case fatiscenti, vecchie officine con automezzi buoni da rottamare, tanta miseria. Eppure in questa situazione esplode un conflitto generazionale che il Paese non sa gestire. Vecchie usanze e tradizioni millenarie sono ormai in crisi, la modernità ha reso ogni cosa insopportabile e i giovani intendono ribellarsi, scappando all’estero o rifiutando in toto la propria cultura.

Questo ruolo delle piattaforme, viaggi “virtuali” in Paesi lontani, andrebbe maggiormente valorizzato. La possibilità di accedere a contenuti di qualità di Paesi “commercialmente” minori, ma in grado di far conoscere e apprezzare ogni parte del mondo, rappresenta una opportunità unica. L’esatto opposto della omologazione dei contenuti paventata dalla globalizzazione. Si tratta di una nuova forma, abbastanza sottile, di libertà. Per chi produce ovviamente, ma anche per chi guarda. Questo va detto soprattutto oggi quando sembra controcorrente sostenere che ogni avanzamento tecnologico (in questo caso la potenza di una piattaforma streaming come Netflix) sia in grado di ampliare l’accesso a nuovi contenuti e semplificare la possibilità di usufruirne. Insomma, non sempre l’innovazione può essere piegata agli interessi di pochi e spesso diventa strumento di libertà e conoscenza. Rifletterci anche in questo caso non costa nulla, e non incide sul prezzo dell’abbonamento.

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