Non si creda che un’adesione rapida dell’Ucraina alla Nato (che pure si scontra con l’ostacolo dell’unanimità) serva a stemperare le ostilità: semmai le acuisce, perché è una risposta uguale e contraria a quella dell’annessione alla Russia delle nuove regioni, ratificata ieri dalla Duma. A questo punto occorre augurarsi che l’eventuale, auspicabile confronto sia sul nuovo status quo, perché l’alternativa – il ricorso alle armi nucleari – sarebbe una sconfitta senza appello per tutti.
“Escludo che Putin pensi di lasciare il Donbass, anche se ritengo che l’intenzione di chiudere la guerra sia reale” dice al Sussidiario Pasquale De Sena, ordinario di diritto internazionale nell’Università di Palermo e presidente della Società italiana di diritto internazionale. Non è altrettanto chiaro se lo stesso vale da parte americana, e sopratutto a quale prezzo.
Dopo i referendum e le nuove annessioni siamo di fronte a una nuova fase del conflitto?
Non vi è dubbio, anzitutto perché nella più recente versione della dottrina militare russa del 2020 si parla espressamente dell’uso di armi nucleari tattiche; in risposta non solo all’uso di analoghe armi contro la Russia, ma anche ad azioni militari convenzionali in grado di minacciare l’esistenza stessa dello Stato russo.
Stato che oggi comprende anche i territori illegittimamente annessi.
Esattamente. Con l’annessione – di certo internazionalmente illegittima – dei territori del Donbass sotto controllo russo, questi ultimi sono diventati, dal punto di vista russo, territorio russo. Così la Russia si è precostituita la condizione per fare uso di armi nucleari, proprio per quello che ho appena detto. Inoltre la Duma ha ratificato i trattati di annessione. La maggioranza qualificata prevista per le leggi costituzionali, con cui si è votata l’annessione, è espressione di un consenso ampio, che travalica il partito di Putin. È dunque molto improbabile che tale voto possa essere ribaltato nel breve-medio periodo. Ciò introduce un elemento fattuale inequivocabile che, oggettivamente, non era presente prima.
Questo che cosa ci porta a concludere?
È difficile prevedere se la strategia occidentale cambierà ed in quale direzione. Ma è chiaro che qualsiasi iniziativa di pace non potrà non tener conto di quanto appena detto, che costituisce un ostacolo serissimo, soprattutto se si pensa di riportare la situazione nell’alveo dei principi di diritto internazionale concernenti l’integrità territoriale dell’Ucraina.
Secondo lei in questo momento che cosa vuole il Cremlino?
Escludo che Putin pensi di lasciare il Donbass, anche se ritengo che l’intenzione di chiudere la guerra sia reale. Troppo alte sono state le perdite subìte dai russi. Molto difficile che si torni indietro, visto anche l’ampio consenso parlamentare cui ho fatto cenno.
Venerdì Zelensky ha risposto a Putin firmando una domanda per l’adesione alla Nato. Che valore può avere in queste condizioni?
Dal punto di vista politico, mi sembra un’iniziativa uguale e contraria rispetto alle annessioni di Putin, per via delle quali ì principi della dottrina strategica russa relativi al territorio nazionale russo sono divenuti estensibili al Donbass. Insomma, politicamente, essa ha fatto balenare la prospettiva che qualunque azione russa contro l’Ucraina potrebbe divenire suscettibile di una reazione immediata da parte dell’Alleanza Atlantica, con l’eventuale adesione dell’Ucraina a quest’ultima.
Va però detto che nel fine settimana Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Usa, ha detto che non è il momento di parlare di ingresso dell’Ucraina nella Nato.
È una dichiarazione significativa, perché dimostra, a mio avviso, che gli Usa continuano a non avere nessuna intenzione di mandare soldati americani a morire in Europa, ciò che probabilmente accadrebbe ove si creassero le condizioni per un’azione militare diretta della Nato.
Meglio usare gli ucraini?
Agli Stati Uniti, evidentemente, le cose vanno bene così, anche perché, obiettivamente, i vantaggi che stanno traendo dalla guerra sono superiori ai costi che per essi questa comporta (essenzialmente l’invio di armi). Non dobbiamo però neppure dimenticare la dichiarazione di Stoltenberg. Il segretario generale della Nato ha sottolineato che per l’adesione alla Nato è necessaria l’unanimità. Lo si sapeva, certo, ma così dicendo, non l’ha, in principio, esclusa.
Kiev potrebbe entrare nell’Alleanza anche se l’Ucraina è in guerra?
Il fatto che sia in corso un conflitto armato costituisce più un elemento ostativo di tipo politico che di tipo giuridico. Non mi pare che dall’articolo 1 del Patto atlantico sino ricavabili ostacoli di tipo giuridico.
C’è un altro fatto interessante: Zelensky ha anche detto che occorre far diventare l’adesione alla Nato de facto adesione de jure. Non significa che l’adesione era già operante in tempi non sospetti, cioè prima dell’invasione, perfino prima del Maidan?
È un aspetto molto importante. Al di là delle prime forme di cooperazione, iniziate nel 1991 quando l’Ucraina è diventata indipendente, il processo di adesione dell’Ucraina alla Nato è cominciato de jure nel 2008. Nel 2009 la Commissione Nato-Ucraina, istituita alla fine degli anni 90, “ha supervisionato il processo di integrazione euro-atlantica dell’Ucraina”. Dopo la parentesi del Maidan e del colpo di Stato, l’ingresso dell’Ucraina nella Nato – così come l’adesione all’Ue – è divenuto nuovamente attuale, e ha finito per essere inserito in Costituzione dal parlamento di Kiev, nel febbraio 2019. L’anno successivo è stato adottato il documento di Strategia di sicurezza nazionale dell’Ucraina, approvato con decreto del presidente della Repubblica il 14 settembre 2020. Esso prevede lo “sviluppo di un partenariato speciale con l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico con l’obiettivo di ottenere la piena adesione dell’Ucraina alla Nato”. Tale processo ha oggettivamente ricevuto ulteriore impulso a Bruxelles in qualche punto della dichiarazione dei capi di Stato e di governo a conclusione del summit Nato del 14 giugno 2021.
In Consiglio di sicurezza dell’Onu il veto russo ha bloccato una risoluzione di condanna dei referendum. India e Cina si sono astenute. Cosa ci dice questo episodio?
A me pare che Cina e India – a differenza di quanto hanno cercato di far credere i media occidentali nelle ultime settimane, e soprattutto dopo il summit di Samarcanda – non abbiano cambiato la loro strategia. Ciò è tanto più vero, se si considera che nel suo intervento in Consiglio di sicurezza il rappresentante cinese, malgrado le preoccupazioni della Cina per l’integrità territoriale di Taiwan (che è da considerarsi parte del territorio cinese), non ha mancato di far rilevare che la crisi ucraina non origina dall’aggressione russa, ma da una lunga serie di eventi precedenti.
Nel suo discorso di venerdì Putin ha detto che la Russia “guida una rivoluzione anti-coloniale mondiale”, confermando la sua analisi del 2 marzo scorso, secondo la quale l’aggressione russa sarebbe da considerarsi espressione di un tentativo contro-egemonico. È ancora possibile ricondurre gli eventi nell’alveo del diritto internazionale e dei rapporti ordinati tra Stati?
Purtroppo non credo. Quando un conflitto è anti-sistemico è ben difficile che esso possa essere risolto con il ricorso alle regole del sistema oggetto di contestazione. Salva l’ipotesi di una vittoria schiacciante sullo Stato che lo ha ingaggiato o quella di un cambio di regime che riconduca quest’ultimo nell’alveo del normale funzionamento dell’ordinamento contestato. Nessuna delle due ipotesi mi sembra, però, perlomeno in questo momento, particolarmente plausibile.
Angela Merkel, cancelliera tedesca per 16 anni, ha affermato che è necessario “lavorare a un’architettura di sicurezza europea comune con la partecipazione della Russia”. Lei cosa vede in queste parole?
Io credo che Merkel abbia chiaro che l’abbraccio degli Usa non è certo un abbraccio… particolarmente affettuoso, né per la Germania, né per l’Europa nel suo insieme.
(Federico Ferraù)
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