Netflix mentre si adopera per entrare dentro i circuiti che contano, distribuendo grandi film d’autore in (poche, per ora) sale e concorrendo per i premi principali dell’industria continua a lavorare sempre di più come alternativa a quei circuiti. Si prenda a esempio il lavoro con certi registi action, come Michael Bay per 6 Underground, o ancora sul pubblico natalizio: se l’anno scorso la società aveva prodotto il primo cinepanettone in streaming – Natale a 5 stelle -, limitandosi al pubblico italiano (su cui sta investendo parecchio, come lo stesso film di Bay dimostra), quest’anno punta al pubblico globale con Klaus, un film d’animazione come quelli che fino a qualche anno fa produceva e distribuiva Disney o Dreamworks, che invece puntano ad altri periodi, come Frozen 2 uscito un mese prima di Natale.
Il film, diretto dallo spagnolo Sergio Pablos (già animatore Disney) e prodotto quasi interamente in Spagna, racconta di un ragazzo, pecora nera di una famiglia che domina il mercato postale, che viene mandato al Polo Nord per fare esperienza prima di potersi dire degno di rientrare in famiglia. Trova una popolazione divisa e litigiosa, che non si spedisce lettere: cercando un modo di far comunicare le persone trova un costruttore di giocattoli, che potrebbe dare gioia ai bambini del posto.
Assieme a Zach Lewis e Jim Mahoney, il regista costruisce una classica avventura natalizia animata mescolando animazione digitale e disegno tradizionale, raccontando le origini di Babbo Natale/Santa Klaus, ma allo stesso tempo mettendo in scena una parabola sottilmente epica sul bisogno di comunicazione ai tempi della messaggistica istantanea.
Più che ai film su e con Babbo Natale, Klaus guarda infatti a un’opera che sarebbe ora di rivalutare come L’uomo del giorno dopo (in originale, The Postman) di Kevin Costner, in cui all’alba di un’apocalisse un postino ricostruiva una nazione attraverso la comunicazione: in piccolo e con tocchi magici, il film di Pablos fa questo, ossia riflette su come la comunicazione e la possibilità di portare un messaggio o un dono da un lato all’altro di una barricata possa abbattere i muri, possa cementare o rifondare una comunità.
Costner guardava al western, mentre Pablos punta all’avventura in stile Jack London, ma la fede in certi valori è simile, anche la fede in un modo d’intendere il cinema: classico tendente all’antico, sapendo però trarre da quel gusto “d’altri tempi” la forza comunicativa capace di affascinare il pubblico contemporaneo (cosa che a Costner non riuscì, visto l’insuccesso clamoroso e che Pablos invece azzecca in pieno): in questo caso, il gusto del disegno, della creazione artigianale degli sfondi e dei piani di ripresa che la tecnologia contemporanea fonde.
Rispetto a esemplari come i film Pixar, il budget è un quinto (40 milioni di dollari contro 200) e questo si sente un po’, specie nel ritmo e nella capacità di costruire la meraviglia, ma poi, se o quando si entra nella profondità del racconto, nell’abilità di descrivere i personaggi, nel senso emotivo più diretto il film è efficace e anche commovente, con un finale in gran crescendo che sa intrecciare stupore, mistero e spettacolo. Dando a Netflix il suo primo, vero film di Natale.