L’Unione europea e gli Stati Uniti stanno cercando di scongiurare una crisi nei Balcani, dove però rischiano di riaccendersi vecchi conflitti. Come altri tre comuni del Kosovo settentrionale, Zubin Potok è abitato da una maggioranza di serbi. Nel novembre scorso centinaia di serbi della regione si sono improvvisamente dimessi dai loro incarichi di insegnanti, poliziotti o sindaci, in protesta contro le politiche del governo kosovaro, ritenute anti-serbe. C’è stato un boicottaggio collettivo dell’intero sistema. Per coprire le cariche vacanti, il governo kosovaro ha indetto nuove elezioni, a cui i serbi non hanno partecipato. Così i candidati albanesi hanno vinto nei comuni a maggioranza serba. La situazione è degenerata, con i serbi che hanno assediato i municipi, la polizia kosovara ha sfondato i blocchi scortando i nuovi sindaci nei loro uffici, mentre volavano pietre, gas lacrimogeni e si sentivano colpi di kalashnikov.
Da allora Izmir Zeqiri, sindaco di Zubin Potok, lavora da un ufficio provvisorio, alla periferia del comune che dirige con notevoli limiti. Del resto, lui e i sindaci dei comuni limitrofi sono pedine di un “gioco macabro”, come lo definisce il giornale tedesco Süddeutsche Zeitung. Le tensioni nel nord del Kosovo sono un tizzone incandescente che rischia di trasformarsi in un secondo conflitto europeo, dopo la guerra in Ucraina. Per questo Stati Uniti e Unione europea hanno sollecitato il presidente serbo Aleksandar Vucic e il primo ministro kosovaro Albin Kurti a incontrarsi per “normalizzare” le loro relazioni. Ma le cose stanno andando nella direzione opposta.
CRISI KOSOVO: NUOVE TENSIONI ALL’ORIZZONTE
Incide anche il fatto che il Kosovo settentrionale sia un focolaio di criminalità organizzata. Inoltre, politicamente è sotto l’influenza della Srpska Lista, il partito regionale serbo controllato da Belgrado che governa da anni i comuni e ha boicottato le elezioni. A Zvečan le proteste contro l’insediamento del nuovo sindaco si sono intensificate a fine maggio al punto tale che oltre 50 manifestanti serbi sono stati feriti, così come 30 soldati italiani e ungheresi della forza di protezione KFOR, che dal 1999 vigila sulla traballante pace in Kosovo sotto la guida della Nato. Disordini dopo i quali l’Alleanza Atlantica ha deciso di aumentare la sua presenza nel paese di 700 uomini.
Ma come riportato da SZ, le tensioni sono dovute anche alla presenza di unità della polizia speciale kosovara, dislocate anche a nord. Anche loro avrebbero provocato le rivolte. I civili ora hanno paura, soprattutto perché il governo kosovaro ha dichiarato due gruppi serbi come organizzazioni terroristiche, quindi centinaia di persone hanno lasciato il Paese temendo arresti arbitrari. Nel frattempo, dilaga il nazionalismo serbo. La sfida è anche a colpi di propaganda, così la sfiducia tra le parti è diventata ancor più profonda. Unione europea e Usa chiedono a Serbia e Kosovo di “smorzare i toni”, così il governo kosovaro ha accettato di ritirare alcune forze speciali dal nord. Ma dopo l’estate si terranno nuove elezioni e le tensioni potrebbero innalzarsi nuovamente.