Ricordiamo la tragedia calcistica del 1958: non riuscimmo a qualificarci per il mondiale di calcio in Svezia. Questo Paese, calcisticamente, ci porta una sfiga tremenda: una volta concordò il biscottone con la Danimarca per eliminarci dagli Europei guidati dal Trap, ora ce l’abbiamo come rivale per giocarci Russia 2018. Nel ’58 eravamo agli inizi del boom economico, giravamo ancora con i cappotti rivoltati e gli abiti passatici dai fratelli maggiori, ma sui tetti delle case apparivano le prime antenne televisive e si cominciava a trasportare le fidanzate in automobile. Nel calcio, i presidenti avevano intuito che, per le loro ambizioni, questo sport popolare avrebbe potuto essere un trampolino pubblicitario enorme; allora, fuori la grana e sotto a svaligiare le squadre sudamericane residenti in Paesi che prima erano stati l’oggetto dei sogni dei nostri antenati, ma ora stavamo economicamente surclassando.

L’EPOPEA DEGLI ORIUNDI

Ci inventammo gli oriundi: erano ragazzi – figli, nipoti, cugini – di emigranti che a malapena sapevano dell’esistenza dell’Italia e che naturalizzavamo, così si diceva, italiani sperando di rafforzare la nostra nazionale. Vi trascrivo l’attacco dell’Italia per la partita con l’Irlanda del Nord che ci battè 2-1 impedendoci di partecipare ai Mondiali. Ghiggia e Schiaffino (già campioni del mondo con l’Uruguay 1950), Montuori e Da Costa (Argentina) con Pivatelli, bolognese di buone speranze. L’impegno degli oriundi fu miserrimo e in area avversaria entrammo solo in occasione della rete di Da Costa: l’arbitro, ungherese per cui amico, non ebbe mai la possibilità di assegnarci il rigorino del pareggio. Grandi piagnistei che non ci insegnarono nulla tanto che, nel 1962 in Cile, andammo pieni di oriundi che ci fecero fare una figura ancora peggiore che quella di quattro anni prima. Decisione: anziché trovare soluzioni intelligenti prendemmo il drastico impegno di eliminare dalla nazionale tutti gli oriundi. Nel frattempo il nostro campionato era pieno di questi giocatori, per cui la squadra che presentammo nel 1966 aveva al proprio interno molti ragazzi con ancora troppo poca esperienza. Infatti, bastò un odontotecnico nordcoreano per mandarci a casa. Decisione: chiusura a nuovi ingressi di stranieri nelle nostre squadre, autarchia! Per fortuna nel nostro campionato ne erano rimasti di fortissimi e potettero fare da chioccia ai vari Riva, Mazzola e Rivera che ci portarono a vincere gli Europei del 1968 e ad essere vice campioni del mondo nel 70, tutto frutto di casualità e non certo di programmazione.

PROGRAMMAZIONE ASSENTE

L’esempio del calcio, che ritengo sia uno dei maggiori indicatori dell’evolversi della nostra società, dimostra come spesso il nostro Paese si getti in decisioni affrettate spinto dall’emotività del risultato immediato. Abbiamo il rischio di essere eliminati dalla Svezia? Via il selezionatore, troppi stranieri in campionato, via tutti! Siamo tifosi anziché amanti del calcio. Le difficoltà odierne erano già visibilissime ai Mondiali del Sud Africa: non abbiamo approfittato della presenza, in quel momento ancora numerosa, di campioni stranieri per usarli come spot pubblicitario affinché molti giovani si avvicinassero allo sport calcistico, non come ultras ma come praticanti. Le nostre società calcistiche si sono svenate per importare figure mediocri, perché i tifosi, a differenza di chi ama questo bellissimo sport, vogliono vincere subito, e allora bisogna appagarli spropositando elogi per dei brocchi che dai in pasto come campioni affinché si dica: la dirigenza ce l’ha messa tutta, il pollo è l’allenatore. Nella realtà è la società calcistica che non ha voluto fare un discorso programmatico serio ai propri sostenitori, spesso limitandosi a parlare di progetti senza svelarne i contenuti. Su questo non ho sentito grandi interventi delle autorità sportive nazionali: nessuno ha mai studiato il giusto mix fra la necessità di investire in campioni affermati e nei vivai giovanili. A ciò va aggiunta la necessità di promuovere la pratica, a parte dei ragazzini, di questo bellissimo sport di squadra che, con la continua diminuzione dei campi oratoriani, va perdendo vigore e attrattiva per i giovani. Sarebbe come se, riferendoci alla società italiana, si fosse impostato il Piano Nazionale Industra 4.0 solo per un anno: non ci sarebbe nemmeno stato il tempo per le imprese nazionali di comprenderne i contenuti e nemmeno l’utilizzo.

LA LEGGE DI BILANCIO

Ora nella legge di bilancio se ne è giustamente inserita la possibilità di proseguimento. Non solo: proprio per non commettere i medesimi errori del mondo calcistico, l’autorità di Governo ha proposto ai legislatori il piano Formazione 4.0. Ciò è fondamentale: il mondo avanza, tutto cambia. Nell’industria si stravolge il modo di produrre, cambiano i processi perché i clienti chiedono prodotti sempre più sofisticati a prezzi inferiori. Ecco allora la necessità di persone capaci di operare in queste nuove situazioni, che sappiano controllare ed essere compartecipi nelle evoluzioni, uomini curiosi disponibili ad incrementare il proprio sapere, che desiderino in definitiva essere al centro del progresso. È evidente che questo passaggio non può essere sostenuto esclusivamente dalle imprese: la sussidiarietà pubblica è fondamentale. A fine mese i costruttori di macchine utensili italiani, guidati dal loro presidente Massimo Carboniero, si confronteranno in Cina con i competitori locali, con gli utilizzatori finali e con istituzioni universitarie e politiche locali, sulla capacità delle nostre aziende di concorrere quali partner allo sviluppo del “continente” asiatico secondo i dettami del grande progetto Cina 2025 che, nell’ottica cinese, vuole dare un fondamentale slancio, economico/sociale, a quel territorio. E’ evidente che le nostre aziende si presenteranno all’incontro consce dell’impegno che ne deriverà e certe che la loro capacità di adeguarsi ai dettami di Industria 4.0, unito al supporto che già viene assicurato dal determinante lavoro e presenza dato dal Governo Italiano, unitamente alle istituzioni ad esso collegate, Ambasciata italiana a Pechino e ITA locale, farà del primo Forum sino/italiano della macchina utensile la pietra miliare della presenza vincente dell’industria italiana in Cina.

I DUE MOMENTI

Godiamo questi due momenti: la nazionale di calcio che, pur con il fardello dell’improvvisazione, supererà l’ostacolo che la separa dallo sbarco in Russia e che vogliamo sia la base per una totale revisione del modo di agire futuro, e il successo delle nostre aziende in Cina frutto di una programmazione il cui avanzamento non viene mai lasciato al caso ma è frutto di analisi, sacrifici economici e di volontà umana ad apprendere, ricercando e sviluppando opzioni per emergere.