La liturgia della Chiesa affida il commento del Natale alla voce di san Leone Magno. Egli è noto per aver fermato Attila nel suo progetto di conquista dell’Italia, quando nel 452 si recò con una delegazione romana a Mantova e lo convinse a non proseguire l’opera di devastazione del territorio imperiale oltre le regioni nord orientali della penisola. L’impresa non gli riuscì tre anni dopo quando, inerme e circondato dal suo clero, andò incontro a Genserico alle porte di Roma e ottenne soltanto che la città non fosse incendiata e che fossero risparmiate dal terribile sacco le tre basiliche di San Pietro, San Paolo e San Giovanni, nelle quali la popolazione atterrita poté trovare rifugio.
Leone non fu soltanto un accorto mediatore in tempi nei quali l’autorità politica era vacillante, fu soprattutto il difensore del primato di Pietro in seno alla Chiesa e portò a compimento con il Concilio di Calcedonia del 451 la grande disputa cristologica, sulla quale i tre precedenti concili di Nicea, di Costantinopoli e di Efeso avevano dibattuto. “Pietro ha parlato per bocca di Leone” acclamarono i Vescovi riuniti, quando fu letto il testo dottrinale del Papa sull’unione nella persona di Cristo, senza confusione e senza separazione, delle due nature umana e divina.
L’eco di questa riflessione si scorge nei Sermoni di Leone, il primo papa di cui ci sia giunta la predicazione al popolo che gli si stringeva intorno durante la liturgia. Scritto in un latino chiaro, ma ancora più splendente per la dottrina, ecco parte del suo primo discorso per il Natale:
Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita.
Alla nascita del Signore gli angeli cantano esultanti: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Essi vedono che la celeste Gerusalemme è formata da tutti i popoli del mondo. Di questa opera ineffabile dell’amore divino, di cui tanto gioiscono gli angeli nella loro altezza, quanto non deve rallegrarsi l’umanità nella sua miseria!
Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna. Ricordati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro. Ricordati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio.
Innanzitutto il tema della gioia, così caro anche all’attuale pontefice. Leone usa tutta la gamma dei vocaboli che il latino mette a sua disposizione: gaudeamus, laetitiam, exultet, exultantibus, laetari. La gioia del Natale raggiunge tutti, in ogni condizione. È la stessa gioia degli angeli in cielo che si diffonde sulla terra.
Poi, nella parte centrale del discorso, il tema dell’unità in Cristo delle due nature, per cui “suscipitur a maiestate humilitas, a virtute infurmitas, ab aeternitate mortalitas”: è assunta l’umiltà dalla grandezza, la debolezza dalla forza, la mortalità dall’eternità, in un crescendo che gioca sul contrasto dei concetti e sulla simmetria della forma. “Natura inviolabilis naturae est unita passibili, Deusque verus et homo verus: nisi enim esset Deus verus non afferret remedium; nisi esset homo verus, non praeberet exemplum”: Vero Dio e vero uomo, in Lui la natura inviolabile è unita alla natura che patisce, perché se non fosse Dio vero non apporterebbe la salvezza, se non fosse uomo vero non offrirebbe l’esempio. Anche qui l’accorta disposizione delle parole rende con efficacia l’ineffabilità del mistero.
Infine, ed è forse l’arsi di tutto il sermone, “Riconosci, cristiano la tua dignità”. Il Natale del Verbo conduce all’uomo, termine dell’iniziativa del Salvatore. Il compito proprio dell’uomo è ricordare la nuova creatura costituita in lui dal Natale: “Memento cuius capitis et cuius corporis sis membrum. Reminiscere quia erutus de potestate tenebrarum, translaus es in Dei lumen et regnum”. La memoria è l’attività da cui nasce la vita morale dell’uomo redento.