La notizia della morte di Edoardo Sanguineti mi ha riportato al mio primo anno di università, al seminario di Letteratura italiana in cui l’assistente di Mario Apollonio, Claudio Scarpati, fece leggere a noi matricole un saggio del critico genovese, Il realismo di Dante. Sono passati quarant’anni, ma resta intatta l’ammirazione per quella lettura su Malebolge, che apriva a noi studenti una nuova prospettiva sulla “aggressività visiva” degli ultimi canti dell’Inferno.
Tra le innumerevoli voci di autori che Sanguineti aveva frequentato, forse quella di Dante è quella più riconoscibile nella sua produzione poetica. Se egli era convinto che la realtà, e quindi il linguaggio, è un caos strutturato, chi meglio di Dante poteva fornirgli gli strumenti per leggerlo e per trarre da quella lezione una sua propria parola?
Come poeta Sanguineti aveva esordito nel 1956 con Laborintus, titolo di un’opera di arte poetica medievale di Everardo Alemanno; la parola significa “ciò che ha in sé la fatica dell’opera”, ma ognuno la connette immediatamente a labirinto. In essa Sanguineti non solo mostra di avere imparato la lezione dello sperimentalismo linguistico dantesco, ma produce anche un poema che Zanzotto chiamò “sincera trascrizione di un esaurimento nervoso”, definizione corretta da Sanguineti con l’osservazione che quell’esaurimento era anche storico, era cioè la dissoluzione del soggetto, l’intellettuale schiacciato dalla società capitalista, il cui discorso non è più che frase spezzata, priva di senso.
livida nascitur bene strutturata Palus; lividissima (lividissima terra)
(lividissima): cuius aqua est livida; (aqua) nascitur! (aqua) lividissima!
et omnia corpora oh strutture! corpora o strutture mortuorum
corpora morta o strutture putrescunt
Non siamo molto lontani dalla palude Stigia, anche se ci separano da essa i secoli e i diversi modi di pensare alla realtà del male. Siamo invece vicini, per ammissione dello stesso Sanguineti, alla crisi del linguaggio documentata dall’action painting di Pollock e compagni.
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Nel 1961 escono i testi di Erotopaegnia, in cui la lingua si ammorbidisce in una sintassi e in una metrica più distese, compare un nuovo registro affettivo e familiare, che per ora rende solo più cruda la disillusione del sogno, come in questa composizione dal titolo in te dormiva:
in te dormiva come un fibroma asciutto, come una magra tenia,un sogno;
ora pesta la ghiaia, ora scuote la propria ombra; ora stride,
deglutisce, orina, avendo atteso da sempre il gusto
della camomilla, la temperatura della lepre, il rumore della grandine,
la forma del tetto, il colore della paglia:
senza rimedio il tempo
si è rivolto verso i suoi giorni; la terra offre immagini confuse;
saprà riconoscere la capra, il contadino, il cannone?
non queste forbici veramente sperava, non questa pera,
quando tremava in quel tuo sacco di membrane opache.
Viene il 1963, l’anno in cui nasce a Palermo il “Gruppo 63”, composto da Alfredo Giuliani, Elio Pagliarani, Sanguineti, Antonio Porta, Nanni Balestrini, personalità non omogenee per stile e percorsi, accomunati dalla consapevolezza di costituire una rottura rispetto alla generazione postermetica. Di essi ho incontrato Porta nel mio liceo, pochi anni prima della sua morte, in occasione della rappresentazione del Persa di Plauto, di cui aveva curato la traduzione. Si parlò anche di Sanguineti. Nel 1964 Sanguineti pubblica Triperuno, Purgatorio de l’Inferno, dove ancora è scoperto il richiamo a Dante.
È bello che le letture costitutive di una personalità critica ritornino così sovente nella sua produzione poetica.