Gli amori tra scrittori producono libri. Carteggi, epistolari, liriche, romanzi. Non sfugge alla regola il travaglio amoroso che si consuma in due brevi anni, tra il 1916 e il 1918, tra Dino Campana e Sibilla Aleramo.
Sebastiano Vassalli ricostruisce in La notte della cometa la vicenda umana e poetica dell’autore dei Canti orfici, mettendo in luce l’isolamento di Campana nel panorama letterario dell’epoca della Grande Guerra. Alcuni capitoli del suo libro sono dedicati alla relazione tumultuosa tra il poeta maledetto e Sibilla, pseudonimo di Rina Faccio.
Si conoscono al Barco presso Rifredo sulle montagne del Mugello. La mattina del 3 agosto 1916 Dino è seduto su un muretto appena fuori del paese. Una corriera si ferma, ne scende una signora vestita di bianco con un larghissimo cappello. Va verso il poeta che si è alzato, gli dà la mano e gli dice: “Eccomi. Io sono Sibilla”.
Prima si erano scritti, per vincere la misoginia di lui, che voleva un’avventura senza problemi; quanto a lei, colpita dalle poesia di Dino, aveva già deciso di concedersi a lui, come aveva fatto in precedenza con numerosi letterati dell’epoca: Papini, Boine, Carrà, Cardarelli e altri ancora. Lui ha 31 anni e una vita errabonda alle spalle; dopo aver interrotto gli studi universitari a Bologna, città nella quale per la prima volta gli viene diagnosticata una forma di nevrastenia, vaga inquieto tra Argentina, Ucraina e vari luoghi d’Italia, facendo i mestieri più disparati; nel 1912 inizia l’attività poetica, che culmina con la pubblicazione a sue spese dei Canti orfici nel 1914.
Lei ha nove anni più di lui; nasce ad Alessandria nel 1876 e la sua vita è segnata dal tentativo di suicidio della madre, dalla violenza sessuale subita a 16 anni, dal matrimonio riparatore, dall’abbandono del tetto coniugale e del figlio. Ammirata e libera dalle convenzioni borghesi, attratta dagli uomini forse proprio per colmare il fallimento della sua vita matrimoniale e della sua maternità, nel 1916 è già famosa per aver pubblicato il romanzo autobiografico Una donna. Sue sono le fattezze incise sulle monete da venti centesimi.
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Ecco in breve il passato dei due protagonisti di una storia passionale e violenta, ma breve. Lei rievoca lo scenario dei primi incontri: “Sempre ho negli occhi quella strada col sole, il primo mattino, le fonti dove m’hai fatto bere, la terra che si mescolava ai nostri baci, quell’abbraccio profondo della luce”.
Suo malgrado, Campana si innamora di una donna che è di tutti, ma la sua fragile struttura nervosa non resiste alla gelosia. Gli incontri erotici a Casetta di Tiara, a Firenze, a Pisa sono costellati di deliri, di scenate, di percosse. Sibilla viene consigliata dagli amici di troncare quella relazione, ma lei non si lascia intimorire; è convinta che il male oscuro possa essere curato con l’amore carnale e rimane vicina a Campana, fino a raggiungerlo al paese natale, Marradi.
Una nuova visita psichiatrica all’inizio del 1917 stabilisce che la nevrastenia di Campana è conseguenza della sifilide; per questo Sibilla riceve l’ordine di interrompere ogni rapporto con l’amico. E questa volta ubbidisce e liquida Dino. La sua salute migliora grazie alle cure e a un soggiorno in Piemonte.
I due amanti riprendono i legami affettivamente mai recisi, si rincorrono, si scrivono lettere di straziante passione; per trovare Sibilla Dino finisce in prigione, perché viaggia senza documenti. Lei va a trovarlo in carcere, ma è oramai l’incontro tra estranei.
La salute di Campana peggiora sempre più; in un bar fiorentino, in piedi su un tavolo dichiara: “Guardate che qui siamo in piena guerra, questa guerra spaventosa, tragica. Sappiate che il colpevole di questa guerra sono io, che la causa di questa guerra è il mio amore con Sibilla Aleramo”. Gli amici pensano dapprima a uno scherzo, poi avvertono l’ospedale. All’inizio del 1918 è ricoverato nel manicomio di San Salvi, poi trasferito nel cronicario di Castel Pulci, dove morrà per un’infezione nel 1932. Lei gli sopravvivrà, continuando la sua vita di amante e di scrittrice, fino al 1960.