Ben poco di romantico nel matrimonio tra Alessandro Manzoni e Enrichetta Blondel. Si conoscono nel 1807; lui ne scrive all’amico Fauriel, descrivendo la giovinetta di eccellente cuore, non nobile, protestante, gradita a Giulia Beccaria. Le cose corrono in fretta: il matrimonio viene celebrato il 6 febbraio 1808 con rito calvinista. Ma le malelingue milanesi disturbano la proverbiale riservatezza di Manzoni: “Tutti si interessano ai fatti miei come fossero miei parenti”, scrive all’amico e così a giugno ritorna a Parigi con la moglie e la madre, ospiti di Fauriel e della sua compagna, la vedova del filosofo Condorcet.
Era quello l’ambiente in cui Manzoni aveva vissuto dal 1805, quando aveva raggiunto Giulia Beccaria, da poco sola per la morte di Carlo Imbonati, con il quale conviveva. Alessandro ha vent’anni e resta affascinato dal clima intellettuale degli amici di sua madre. Le idee illuministe avevano già attecchito nel suo pensiero; la sua personalità aveva sofferto dell’assenza materna e della rigidità dell’educazione ricevuta dai barnabiti; era reduce da cinque anni di vita dissipata.
A Parigi trova il terreno adatto per coltivare relazioni appaganti sul piano degli studi. Per questo egli inizialmente si stabilisce nella capitale francese. Ma la personalità della moglie mal si adatta all’ambiente spregiudicato di casa Fauriel; così i Manzoni si sistemano in un’altra abitazione più raccolta e più sobria. E’ la prima vittoria di Enrichetta, a cui segue la conquista dell’affetto di una suocera altera e difficile.
A Natale del 1808 nasce la primogenita Giulietta, alla quale Enrichetta accudisce con tenerezza e religiosità: ella scrive al fratello di averle fatto congiungere le manine per ringraziare Dio. Ma in quale fede crescere la piccola? Benché indifferente e anticlericale, il padre decide per il battesimo con il rito cattolico.
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Enrichetta soffre per quella decisione così lontana dalle aspirazioni del suo cuore. Lo scrittore chiede alla Chiesa anche la convalida del matrimonio calvinista e ciò porta la sua sposa a riesaminare le credenze religiose assorbite dall’infanzia.
Per vie misteriose la grazia la guida; istruita con discrezione e bontà dall’abate Degola, nel 1810 fa pubblica abiura del calvinismo ed entra a far parte della Chiesa cattolica. Se la conversione toglie il velo di incomprensione con il marito, erige un muro con la famiglia di origine, che non le perdona il tradimento: trattata con freddezza, le viene impedito di entrare in casa persino in occasione della morte di suo padre.
Anche lo scrittore prosegue nel cammino della fede: la sua onestà intellettuale e l’umile fortezza che vede in sua moglie si saldano in un pensiero che ancora oggi appare come un sistema razionale e un’attitudine morale di altissimo profilo. Proprio per ritrovare un ambiente più adatto ai loro nuovi orientamenti spirituali essi lasciano Parigi e si stabiliscono a Brusuglio. In quella solitudine Enrichetta accompagna il marito con tenera dedizione e gli dà altri otto figli. La nascita di Matilde nel 1830 si rivela fatale per la resistenza del suo fisico: la febbre non la lascerà più e il giorno di Natale del 1833 si spegne, lasciando inconsolabile il marito.
Pochi anni prima, sentendo che le sue forze venivano meno, gli aveva scritto: “Tu che formasti la felicità di colei che volesti tua compagna, prega per il suo riposo e non lasciarti abbattere. Te lo domando nel nome dell’amore che sempre abbiamo avuto per i nostri figli e di quella tenera affezione che ci ha sempre stretti l’uno all’altra”. Tale forza Manzoni trovò più tardi, ma l’abbozzo dell’ode Il Natale del 1833 indica lo smarrimento dello scrittore per il venir meno di quella compagna, i cui tratti emergono in due figure femminili uscite dal suo cuore, Ermengarda e Lucia Mondella.