C’era molta attesa per la riunione del Consiglio direttivo della Banca centrale europea di ieri. Dopo due anni dall’inizio della stretta monetaria che ha poi portato lo scorso settembre al raggiungimento del massimo storico del 4,5%, i tassi di interesse nell’Eurozona sono stati ridotti dello 0,25%. Come spiega Domenico Lombardi, economista, direttore del Policy Observatory della Luiss ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, “la Bce, come atteso da lungo tempo, ha ridotto di un quarto di punto i propri tassi di intervento. Tuttavia, sarebbe un errore ritenere che questo segnali un impegno a seguire un sentiero di riduzione con una velocità in qualche modo simmetrica a quella tenuta nell’elevarli tra luglio 2022 e settembre 2023”.
Ci spieghi meglio.
La Presidente Lagarde ha inteso rimuovere il “tappo” della restrizione monetaria, riconoscendo che, a seguito della disinflazione intervenuta, paradossalmente il livello di restrizione monetaria oggi era superiore allo scorso settembre. Tuttavia, le decisioni future su eventuali, ulteriori tagli verranno valutate caso per caso.
Ieri sono state anche diffuse le nuove previsioni della Bce sull’inflazione. Cosa ci può dire al riguardo?
Nel complesso, l’inflazione rimane al di sopra del target di medio periodo per tutto l’anno in corso e quello prossimo, stabilizzandosi appena sotto il target nel 2026. Peraltro, le previsioni di inflazione diffuse ieri dalla Bce sono state riviste al rialzo rispetto all’ultimo esercizio previsionale. Nel frattempo, l’inflazione tendenziale a maggio è stata superiore a quella di aprile: i prezzi dell’energia stanno mostrando una significativa riaccelerazione mentre la dinamica di quelli dei servizi si mantiene su valori particolarmente sostenuti.
Considerando anche il proseguimento della riduzione dei riacquisti di titoli di stato nell’ambito del programma Pepp, per l’Italia rischia di esserci una politica ulteriormente restrittiva nella seconda parte dell’anno, momento chiave per la messa a punto della manovra?
Certamente il percorso di riduzione sarà meno veloce delle attese e, quindi, il margine di manovra per i Paesi a elevato debito sarà più ristretto, ma questo non dovrebbe servire come deterrente ad attuare riforme per la crescita.
Lagarde ha spiegato che nel percorso di riduzione dei tassi, ancora non ben definito, occorre stare attenti. Ci sono davvero seri pericoli di forte e inaspettata ripresa dell’inflazione?
Ci sono due tipi di difficoltà che possono ostacolare il percorso di riduzione dei tassi nel breve periodo. Il primo è legato alla vischiosità di alcune componenti dell’indice dei prezzi più sensibili al costo del lavoro che sta aumentando per recuperare parte del potere di acquisto perso – in sostanza, la componente dei servizi. L’altra difficoltà è legata all’incertezza geopolitica e ai suoi riflessi, per esempio, sul prezzo delle materie prime. Detto questo, al netto di una variabilità della dinamica inflativa superiore alle attese, le aspettative di inflazione rimangono nel complesso ancorate e il trend sinora osservato è quello di una riduzione consistente dell’inflazione dai livelli elevati e a due cifre osservati nello scorso biennio.
Negli ultimi giorni sono sorti dei timori sull’andamento dell’economia Usa. C’è la possibilità che la Fed possa tagliare i tassi a giugno? Questo faciliterebbe un altro taglio della Bce a luglio o settembre?
Il taglio dei tassi di intervento appare oggi improbabile anche perché negli ultimi mesi la dinamica inflativa è stata particolarmente vischiosa negli Stati Uniti, se non addirittura in controtendenza. Ritengo che la Fed vorrà aspettare qualche ulteriore dato prima di avviare – anch’essa molto cautamente – la discesa dei tassi. L’avvio della riduzione dei tassi dall’altro lato dell’Atlantico eserciterà un impatto favorevole anche in Europa creando un più ampio margine di manovra per la Bce.
Ieri l’Istat ha diffuso “Le prospettive per l’economia italiana nel 2024-2025”. Per l’anno si prevede una crescita del Pil pari a +1,1%, trainata quasi interamente dalla domanda interna. È uno scenario credibile considerando anche il fatto che altre recenti previsioni vedono l’economia del nostro Paese nel 2025 andare peggio di quest’anno?
L’Istat proietta una crescita trainata dai consumi delle famiglie il cui potere di acquisto si accresce grazie alla consistente disinflazione. L’elemento preoccupante, tuttavia, è che il contributo degli investimenti va significativamente diminuendo rispetto alle altre componenti della domanda interna, gettando un’ombra di vulnerabilità sulla sostenibilità a medio termine della crescita sinora registrata o prevista.
(Lorenzo Torrisi)
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