Più o meno ogni sette anni la presidenza della Repubblica diventa un argomento centrale della vita politica. L’inquilino del Quirinale è infatti sempre stato, in modi diversi, un protagonista importante nei difficili equilibri che hanno caratterizzato le diverse fasi della vita della Repubblica. 

Luigi Einaudi, eletto al quarto scrutinio nel maggio del 1948, ha avuto uno dei compiti più difficili: accompagnare la ricostruzione e la crescita economica dopo il dramma del fascismo e della guerra. Un compito che Einaudi ha svolto con decisione cercando di mettere in pratica quei principi, sommariamente chiamati liberali, che aveva difeso dapprima come giornalista, poi come docente universitario, in articoli, libri e conferenze. Definire Einaudi come liberale è comunque un giudizio corretto, ma limitato. Uno dei suoi libri più importanti è, per esempio, quello dedicato alle lezioni di politica sociale dove sono esaminati con attenzione e realismo i compiti dello Stato, ma insieme delle parti sociali in un’ottica di sussidiarietà.



Il liberalismo di Einaudi è fondato sull’etica della responsabilità, sulle misure per rendere più possibili uguali i punti di partenza, sulle virtù civili come la modestia e la frugalità. Valori che marciano affiancati con il senso di appartenenza a una comunità nazionale, una patria, in cui devono sempre convivere diritti e doveri, in cui ognuno deve contribuire, con il proprio lavoro e con il proprio risparmio, alla crescita collettiva.



Il pensiero di Einaudi lo si può trovare nella sua vasta bibliografia, ma altrettanto significative sono le sue massime, i suoi giudizi come quelli riuniti in un agile volume da Corrado Sforza Fogliani, avvocato, giornalista, a lungo presidente della Banca di Piacenza, di cui è ora presidente onorario, e presidente di Confedilizia, in cui è ora responsabile dell’Ufficio studi. Questo libro (Luigi Einaudi, Elogio del rigore, aforismi per la patria e i risparmiatori, Ed. Rubbettino, pagg. 176, € 16) ha una prefazione di Ferruccio De Bortoli che costituisce a sua volta una piccola, ma importante lezione di giornalismo, ricordando i rapporti tra Einaudi e il direttore del Corriere negli anni ’20, Luigi Albertini. Peraltro, proprio in quegli anni, per merito del direttore, ma sicuramente anche per le “prediche” di Einaudi, il Corriere ottenne un significativo successo passando dalle 75mila copie dell’inizio del secolo alle 600mila nel 1920.



Il cuore del libro curato da Sforza Fogliani è costituito dagli aforismi che Einaudi scrisse per il Corriere tra il 1915 e il 1920 per sostenere i prestiti nazionali per finanziare la Guerra, ma anche per sollecitare la virtù del risparmio, della moderazione dei consumi, del prevalere dell’interesse nazionale su quello personale. Ma con una decisiva sottolineatura sul fatto che proprio l’interesse nazionale porta con sé anche il conseguimento del benessere di ogni cittadino.

Passo dopo passo, al di là delle vicende storiche, emerge in questi aforismi la statura politica e intellettuale di Einaudi. Insieme al suo coraggio di andare controcorrente, di sfidare il pensiero dominante, di valorizzare insieme la ragione e la volontà di crescita. Un messaggio quindi di grande attualità.

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