La crisi alimentare globale è al centro del Meeting di Rimini 2022, ma secondo un articolo pubblicato su The Economist (dal titolo “Against expectations, global food prices have tumbled”) essa non esiste. I dati, infatti, rivelano che la Terra produce e mette a disposizione molto più cibo di quanto ne serva per sfamare gli 8 milioni di abitanti che attualmente ospita. Ciò significa che una carestia di massa è tutt’altro che un’ipotesi reale, almeno al momento. Perché, allora, ormai da mesi viene lanciato l’allarme in merito alla questione?



I motivi sono diversi, in parte derivanti da fattori “naturali” ed in parte derivanti dallo scenario economico-politico. La siccità che sta colpendo l’emisfero Nord del pianeta è uno dei primi, in quanto i raccolti agricoli sono sempre più danneggiati e di conseguenza il prezzo di molti prodotti aumenta. Oltre a quelli che provengono da grano e mais, anche altri come cotone e caffè. A ciò si aggiunge la complessa questione relativa al gas, con i problemi derivanti dal conflitto tra Russia Ucraina, che condiziona le produzioni.



La crisi alimentare globale non esiste? Il fattore speculativo

La ragione per cui secondo gli esperti del The Economist la crisi alimentare globale nella realtà non esiste, però, al di là dei fattori citati, è prettamente economica. Nell’articolo dal titolo “Against expectations, global food prices have tumbled”, come ricostruito anche dal Corriere della Sera, infatti, si fa riferimento alla possibilità che i grandi intermediari specializzati nel commercio di materie prime agroalimentari abbiano generato allarmismi con l’obiettivo specularci sopra.

Ciò è stato fatto portando avanti dei parallelismi tra il settore in questione e quello dell’energia, che però si sono rivelati infondati. Se da un lato, infatti, la mancanza di gas russo sta realmente creando problemi, dall’altro lato la carenza di grano ucraino non ha avuto i medesimi effetti. Il surplus continua ad essere abbondante, al punto che il grosso dei raccolti mondiali viene dirottato per alimentare il bestiame d’allevamento oppure per produrre biocarburanti.