“Crisi da noi? Ma se i ristoranti sono pieni…”. Correva l’anno 2011, quando, a novembre, in chiusura del G20 di Cannes, l’allora premier Silvio Berlusconi smentiva il suo ministro Giulio Tremonti e gli organismi economico–finanziari dell’Unione Europea (che stavano organizzando un controllo ravvicinato sui nostri conti) affermando che gli italiani vivevano “in un Paese benestante”, e che se qualche problema annebbiava il panorama era solo colpa dell’euro e dei soliti pregiudizi che circolavano a Bruxelles: “Les italiens, toujour les italiens”. Una settimana dopo il Cavaliere era costretto a dimettersi e Confcommercio segnalava la chiusura dell’esercizio annuale in profondo rosso, con la perdita di circa 9mila ristoranti.
Il ricordo torna oggi nel paragone tra le palesi e generalizzate difficoltà economiche ampiamente dichiarate e il pienone che affolla le località turistiche montane e le grandi città in questa prima prova tecnica di stagione invernale, il lungo ponte dell’Immacolata. L’inossidabile Cavaliere come potrebbe commentare? “Crisi? Ma se ovunque c’è il pienone…”. E andando ancora più a ritroso nel tempo, come non sorridere al motivetto del 1933 “Ma cos’è questa crisi?” di Rodolfo De Angelis, che cantava “L’esercente poveretto non sa più cosa far… Si contenti guadagnare quel che è giusto e vedrà che la crisi passerà”.
La crisi è un brutto specchio, che rilascia immagini diverse a seconda degli occhi che la guardano, affrontata quasi sempre con armi spuntate, ma anche agitata spesso da chi la intende usare per giustificare manovre inflattive. Conviene allora sublimare sensazioni, preconcetti, polsi soggettivi, ed affidarsi ai dati. Ma anche con questi…
Si comincia con l’Ocse (l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) e con i suoi indici anticipatori compositi, che segnalano una prospettiva debole nell’area e nella maggior parte delle principali economie, compresa l’Italia, a causa dell’inflazione elevata e dell’aumento dei tassi di interesse. La stessa Ocse avvisa anche che “il rallentamento dell’economia mondiale, con lo shock energetico scatenato dalla guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, la forte inflazione e il calo del potere d’acquisto, rischia di frenare la dinamica di ripresa post-pandemica del turismo”.
Per l’organizzazione europea, insomma, la recessione sta arrivando, e questi che viviamo sono tempi di “permacrisi”, prolungati periodi di incertezza e instabilità. Al quadro grigio di Ocse fa da eco un noto econopessimista, Nouriel Roubini, docente di economia alla New York University. “Dopo anni di politiche fiscali, monetarie e creditizie ultra-allentate e l’insorgere di importanti shock negativi dell’offerta, le pressioni della stagflazione stanno ora mettendo sotto pressione un’enorme montagna di debito pubblico e privato” dice, ed aggiunge che “la madre di tutte le crisi economiche incombe e i policymaker possono fare ben poco per evitarla”.
Sarà. Intanto Fitch (l’agenzia di rating) ha appena rivisto le sue stime per l’Italia: è prevista una contrazione del Pil nel 2023 di appena 0,1%, invece del -0,7% indicato a settembre, grazie all’allentamento della crisi del gas. “Segno che l’economia italiana è stata più resiliente del previsto, sconfessando i pronostici”, dicono gli analisti. Anche l’Istat ha rilasciato le nuove stime relative al Pil per il biennio 2022-2023: i valori per quest’anno sono al rialzo rispetto al precedente studio di giugno con una crescita del +3,9% su base annuale (contro il +2,8%). In ribasso invece le previsioni per il 2023: dal +1,9% al +0,4%. Per Istat “lo scenario previsivo è caratterizzato da ipotesi particolarmente favorevoli sul percorso di riduzione dei prezzi nei prossimi mesi e sulla completa attuazione del piano di investimenti pubblici previsti per il prossimo anno”.
A questo punto è difficile accettare scommesse, tanti sono i fattori in gioco a determinare incertezze diffuse, in ogni settore. Ma tornando ai pienoni citati, in montagna e nelle città, di certo anche qui ci sono ben poche certezze. Secondo i dati predittivi dell’Istituto Acs Marketing Solutions, da tutti citati e ripresi, per questo ponte dell’Immacolata sarebbe in movimento un italiano su cinque, un numero impressionante, al quale vanno aggiunti i turisti stranieri e, in montagna, i tantissimi transfrontalieri che approfittano dei caroselli bianchi delle nostre Alpi. Qualche esempio. Le località di vacanza lombarde hanno già annunciato il tutto esaurito anche per le prenotazioni di Natale e Capodanno. Idem sui monti del Veneto, anche se in alcune skiarea la neve ancora latita. Bene anche a Roma, con folla in centro e traffico subito in tilt, hotel pieni all’80%, ma anche 80 alberghi chiusi dalla pandemia, e una previsione consuntiva per il 2022 che si ferma al 77% degli arrivi e il 74% delle presenze rispetto al 2019. Bene anche a Genova (nominata capitale europea delle festività 2022), con hotel occupati al 70%, un drenaggio che però sta facendo male alle altre località liguri. Peggio a Palermo, che sconta la rarefazione dei voli e il pesante rincaro sul costo dei biglietti: camere d’albergo piene al 60% e molte strutture chiuse in attesa di tempi migliori. In generale, un’analisi di Cst (Centri studi turistici) indica la saturazione dell’offerta ricettiva tra il 7 e l’11 dicembre a circa il 71%, per un totale di circa 4,5 milioni di pernottamenti, livelli ancora distanti da quelli del 2019.
Un chiaroscuro, insomma, che non restituisce sicurezze, anzi ne delinea la mancanza. Alcune considerazioni, però, si possono trarre.
La prima: i due anni di pandemia e di paralisi si stanno sminando con un poderoso revenge, tutti a cercare di riempire quei lunghi vuoti subìti per decreto. La ripresa del turismo ne è l’esempio più concreto e quello dalle ricadute migliori per l’economia italiana.
La seconda: l’incertezza sul futuro lascia spazio alle interpretazioni, con un generalizzato ricorso all’utilizzo del risparmio (modalità diffusa, secondo un recente sondaggio di McKinsey, in Italia, Spagna e Regno Unito) per mantenere inalterati gli stili di vita, nell’attesa di capire dove si stia andando davvero.
La terza: gli aumenti sono trasversali, dallo skipass al conto al ristorante, ma sul fronte degli operatori si calcola che non basteranno a mantenere le marginalità ai livelli consueti. Le associazioni di categoria parlano di 30mila ristoranti a rischio: solo nel terzo trimestre del 2022 si sono già perse circa 3.500 imprese.
Sul fronte dei consumatori va peggio, ovviamente, visto che per loro gli aumenti sono solo da pagare e, tranne le parziali calmierazioni statali su carburanti e bollette, si trovano a subire in pieno i danni da inflazione, tanto che i consumi medi da tredicesime per le famiglie si sono ridotti, arrivando ai minimi da 15 anni, erosi dalle spese fisse, dal caro-prezzi e dal caro-bollette. Oggi si spende di più per avere uguale: per tutti, consumatori e imprenditori, è questa la realtà. Ma continuare a basarsi sui numeri del pre-pandemia finisce per distorcere l’attualità, in una tensione che probabilmente è anacronistica, come far di conto ricordando il valore della vecchia lira.
Il Cavaliere, insomma, potrebbe dire anche oggi “Ma quale crisi? I ristoranti (o le piste) sono pieni”, ma l’equazione tavoli affollati = non-crisi non reggeva undici anni fa e non regge oggi. Alla fine delle feste bisognerà contare quanto sarà rimasto in cassa, in tasca, nel conto deposito, sperando di non aver pranzato inconsciamente nella sala di un Titanic.
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