Non sarebbe una cattiva idea se, dopo avere passato un fine settimana in intense discussioni con gli esponenti di “quella-che-fu” la maggioranza del Governo Conte II ampliata al nuovo gruppo sedicente “europeista”, nella sua funzione di “esploratore” il Presidente della Camera cercasse di sapere, tramite contatti sia istituzionali (le ambasciate), sia privati, come viene vista la situazione italiana dai principali Paesi dell’Unione europea e dagli Stati Uniti.



L’Ue – vale la pena ricordarlo – ha previsto che la maggiore dotazione finanziaria della Recovery and Resilience Facility, strumento principale del programma Next Generation Eu, venga assegnata all’Italia (sempre che Roma sappia preparare un programma di qualità), non per i meriti di chi la governa, ma per la crescente preoccupazione che una crisi economica e finanziaria nel nostro Paese trascini il resto dell’Ue. Nello stesso spirito, occorre rammentare, è stato “revisionato” l’accordo intergovernativo sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes) prevedendo una “linea precauzionale di sostegno” per i Paesi a rischio di poter essere “contagiati”. La crisi di Governo ha suscitato, senza dubbio, preoccupazioni a Bruxelles anche in quanto il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è ancora in fase di preparazione; le sue prime stesure (in ritardo sul calendario stipulato) hanno suscitato rilievi non positivi da parte della Commissione; giunte in Parlamento, i servizi studi di Camera e Senato ne hanno evidenziato incongruenze ed errori pure contabili. Più importanti degli “umori” della Commissione, sono quelli dei principali Stati dell’Ue, soprattutto della Repubblica federale tedesca, che più di una volta è venuta a sostegno dell’Italia, pure esponendosi di fronte agli altri Stati membri dell’Ue.



In Germania, dopo oltre 15 anni di Cancellierato Merkel, la leadership sta cambiando. Un’ottima analisi è stata presentata in un breve studio dell’Amb. Elio Menzione, che è stato Ambasciatore d’Italia a Berlino, in una “lettera diplomatica” discussa al Circolo di Studi Diplomatici a Roma. In breve, dopo il congresso del partito di maggioranza relativa, i giochi all’interno della Cdu non sono stati ancora completati. La stampa italiana dà per assodato che il prossimo Cancelliere sarà Armin Laschet che manterrà una “linea di continuità”, ma la partita è complessa. Dopo le elezioni, potrebbe diventare Cancelliere anche Friedrich Merz, arrivato secondo al Congresso della Cdu, il quale potrebbe imprimere una “svolta a destra” per tornare ai “valori tradizionali”. 



La “lettera diplomatica” non dice quali potrebbero essere le implicazioni per l’Italia. Si può, però, dedurre che Merz indosserebbe “occhiali meno benevoli”, nei confronti di Roma, di quelli di Laschet, influenzando non poco il resto dell’Ue. Troverebbe terreno fertile in una Germania il cui maggiore quotidiano – la Frankfurter Allgemeine Zeitung – ha fatto letteralmente a pezzi l’ultima stesura del Pnrr proposta dal Governo italiano e in cui si è riso della goffa creazione di un gruppo parlamentare “europeista” a supporto di un Governo che, nella realtà effettuale delle cose, ha dato prova di europeismo solo quando c’era da ricevere.

Per quanto gli Usa, la partita è ancora più complessa. «L’agenda Biden è la mia agenda», ha dichiarato di fronte alle Camere il Prof. Avv. Giuseppe Conte, nell’ultima sessione di verifica della fiducia al suo Esecutivo prima della decisione di salire al Colle per le dimissioni. Andrea Muratore del Centro Studi «Globalizzazione» ha correttamente detto che si è trattato di «uno sfoggio di provincialismo e di scarsa ambizione condiviso da diversi membri della maggioranza, specie in quota Partito Democratico, ma che forse non è stato preso fin troppo alla lettera dalla nuova amministrazione di Washington, che non ha sentito la necessità di consultare l’Italia nel primo giro di contatti dopo il suo insediamento». «Agli occhi degli Usa – aggiunge Muratore- sono apparsi come fumo negli occhi i giochi controcorrente condotti dall’Italia nei confronti della Cina nel corso del primo governo Conte e del Venezuela dal 2019 in avanti. Ma non solo: Roma è oggigiorno un attore indebolito come rilevanza geopolitica e diplomatica sul fronte libico, nel confronto con la Turchia e nel quadro degli equilibri mediterranei dopo anni in cui la politica non ha preso in mano con decisione i principali dossier. E se Paesi come Francia e Germania possono proporre a Washington strategie divergenti nei confronti di attori come Iran e Russia, hanno anche gli strumenti di hard power per implementarle, mentre molto spesso l’Italia si trova a metà del guado, costretta al massimo a prendere scelte “di bandiera”».

Inoltre, l’azionista principale della maggioranza dei due governi Conte (il Movimento Cinque Stelle) non ha dato prova, con azioni politiche concrete, di essersi scrollato di dosso quella patina anti-europeista, anti-atlantica, statalista e populista che lo ha accompagnato sin dalla nascita. Il ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale – occorre ammettere – ha preso posizione, ma tardivamente, sul “caso Navalny” ma troppe aree, a cominciare dall’accesso allo “sportello sanitario” del Meccanismo europeo di stabilità, restano ancora scoperte. 

Permangono molti dubbi non solo a Bruxelles (memori degli abbracci con i “gilets jaunes”), ma anche sulle due rive del Potomac (dove albergano il Dipartimento di Stato e la Central Intelligence Agency) per un viatico a “Giuseppi” carpito tramite una congrega internazionale lontana dalle istituzioni.