L’emergenza energetica dovrebbe essere il primo problema per il prossimo Governo sia per gli impatti sulle famiglie che sul sistema produttivo. Nel primo caso solo una parte degli effetti della crisi è emersa alla viglia della stagione invernale; nel secondo caso, invece, siamo già in piena emergenza con moltissime imprese che sono state obbligate dai costi insostenibili a chiudere. Nelle ultime settimane si è letto di tutto e di più sul tema, ma nei fatti non è stato fatto nulla né per indennizzare le imprese, né i cittadini e nemmeno si sono poste le basi per una soluzione.



Nella lunga lista di proposte, in cui si trova tutto e il contrario di tutto, la premessa necessaria è che i problemi che occorre affrontare sono immediati. Prospettare il ritorno del nucleare, per esempio, non è una soluzione che può incidere prima dei prossimi quindici anni, con un calcolo ottimistico. Tra quindici anni, in attesa che il primo ipotetico reattore, cominci a produrre il primo kilowatt del sistema industriale italiano sarà rimasto molto poco stanti gli attuali costi energetici. Avrebbe più senso ipotizzare una campagna di esplorazione di gas e lo sblocco delle trivelle che potrebbe dare risultati significativi tra pochi anni a patto di sfidare la religione della transizione verde europea e di partire nelle prossime settimane. Si potrebbe sostituire una parte delle importazioni russe ottenendo un impatto significativo. Anche in questo caso, però, i tempi non sono coerenti con la salvezza del sistema industriale italiano.



Oggi i problemi che si presentano all’esecutivo sono molto più immediati e hanno due lati. Il primo è quello della quantità che non è sufficiente a garantire i consumi cui il sistema era abituato prima della crisi. Il secondo è quello dei prezzi. Da ieri, con il sabotaggio del gasdotto Nord Stream (1 e 2), anche la soluzione teorica, vista l’attuale collocazione geopolitica dell’Italia, della fine delle sanzioni contro la Russia non è praticabile. Bisogna, quindi, pensare a un piano di razionamenti che privilegi i posti di lavoro e la sopravvivenza del sistema produttivo e nel frattempo porre le basi per aumentare la disponibilità di gas. In secondo luogo, soprattutto, bisogna agire sui prezzi. L’ipotesi di un tetto europeo è naufragata ed è stata presentata da alcune forze politiche come risolutiva scaricando ancora una volta sull’Europa l’incapacità italiana di trovare una soluzione autonoma con tutti i costi politici del caso.



La Commissione europea ha approvato un tetto al gas in Spagna e Portogallo. Oggi il prezzo del gas nella penisola iberica è un quarto che nel resto d’Europa. Le premesse per l’eccezione concessa ai due Paesi membri sono la quota di energia rinnovabile e le poche connessioni “fisiche” con il resto del continente. L’Italia dovrebbe lottare per svincolarsi dal TTF e aprire un braccio di ferro con l’Europa dando in questo modo un colpo semi-mortale al mercato europeo. Anche in questo caso servono mesi e una grande dose di coraggio che non è detto ci sia.

Quello che serve ora, quindi, è il ricorso al deficit perché il costo della bolletta energetica italiano è salito di molte decine di miliardi di euro e non c’è austerity o recupero di efficienza che possa anche solo scalfire queste grandezze. Inquadrare il tema nella disciplina o indisciplina fiscale in un mondo che si appresta a entrare in un’economia di guerra è grottesco. L’Italia può scegliere una disciplina fiscale che dura lo spazio di qualche settimana e finisce nel collasso di quel sistema industriale su cui grava tutta la macchina statale e soprattutto tutto il debito italiano. Farlo a costo zero vorrebbe dire fare macelleria sociale, in questa fase particolarissima, oppure devastare la spesa pubblica. Anche i fondi del Pnrr sono una frazione del problema. Forse si potrebbe ovviare tagliando con la motosega personale pubblico insieme alle retribuzioni. Un’ipotesi teorica che al limite si potrebbe immaginare in anni.

L’ordine di grandezza della somma che deve recuperare l’Italia è più vicino ai 100 che ai 50 miliardi di euro per riportare i costi energetici al 2021. Più di 1.000 euro a italiano inclusi “vecchi, donne e bambini”. Pensare di trovarli con le tasse con un’inflazione al 10% e la recessione globale è surreale. Stesso discorso vale per i tagli. Se il sistema industriale rimane chiuso esattamente come pensa il prossimo Governo di pagare ospedali, strade e stipendi? Fino a che punto e con che costi politici gli italiani possono ricorrere a risparmi che stanno già evaporando?

Per questo non ci resta che pensare che chi ha deciso di evitare l’unica soluzione possibile in realtà stia proponendo delle non soluzioni. Dei sogni con cui rabbonire tutti. Questa crisi italiana, però, non è come le altre crisi dove alla fine si esce dal tunnel. Nelle altre crisi il sistema industriale è rimasto vivo e vegeto. I sogni, in sostanza, hanno una data di scadenza molto ravvicinata.

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